ARCHETYPAL BRANDING PER TUTTI

Dalla ricerca della brand identity, passando per il self-branding mal consigliato, alla ruota dell’oroscopo il passo è breve; spesso molto più della gamba che lo compie. 

Ci si riferisce con ciò a quella curiosa branchia dei brand studies che si rifà alla psicologia junghiana: propriamente, come già intuibile, all’archetypal branding, una corrente, se così si può chiamare, evidentemente ancora ai principi del proprio corso (i lavori più influenti in questo senso rimontano all’ultimo quarto del secolo scorso), che si richiama all’osservanza dell’aspetto forse più controverso dell’impianto dottrinale del medico svizzero.

Chi scrive si è imbattuto nel branding archetipico spulciando vari forum e blog che discettano più o meno latamente attorno al concetto di self-branding e non è al momento ancora riuscito a risalire a chi originariamente abbia coniato la terminologia predetta. Poco male, ciò che si vuol portare all’attenzione è in realtà l’insidia che pratiche del genere celano, ovvero il discredito e la delegittimazione che declinazioni di una teoria come questa possono apportare al filone relativamente neonato dei brand studies.

Per pura casualità, si potrebbe sottolineare quale una della principali preoccupazioni di Freud agli albori di quella che egli chiamò psicanalisi fosse l’istituzione, la difesa, e la riconoscibilità di un metodo qualitativamente scientifico, come ben dimostra, per citare uno studio inter alia il saggio Analizzare di Lavagetto. Così il critico letterario: «Freud definisce analitico e regressivo il proprio metodo, contrapponendolo a quello sintetico o progressivo. Segna in tal modo due frontiere: da un lato, quella che divide la psicoanalisi dalle scienze della natura e che le preclude ogni possibile predittività; dall’altro, quella che impedisce di liquidare senz’altro il lavoro con piccoli indizi assimilandolo ai protocolli della divinazione. Le spiegazioni saranno in ogni caso ex post facto: in nessun caso si potrà dire che il verificarsi di a è sufficiente al verificarsi di b, e tuttavia il fatto che b si sia verificato consentirà di indicare come necessario il precedente verificarsi di a. In tal modo Freud si è procurato un passaporto che se non gli consentirà di superare i controlli forti delle scienze fisiche e matematiche, può permettergli libero accesso nei territori delle scienze umane».

Beh, se gli studi di branding aspirano al meglio all’accettazione nel campo dello scibile umanistico devono guardare attentamente alle infiltrazioni pop-psicologiche o parascientifiche che certune suggestioni recano. Certo, studiosi di fama hanno lavorato sulle possibilità di questo metodo, affascinante alla pari dell’astrologia per il potenziale predittivo che, si intuisce, pare riposare quale tesoro sul fondale di un siffatto modello conoscitivo. Se alcuni risultati a livello accademico sono apprezzabili e più o meno condivisibili, d’altro canto lo scenario che si propone agli utenti che utilizzano come key words “archetypic branding”, “archetypic marketing” ecc. lascia soprappensiero, e con una certa voglia di assistere agli spettacoli di Paolo Fox; cercare per credere, cari i nostri eroi, ribelli, innocenti, saggi…

Giulio Montagner