LA NUOVA COMUNICAZIONE TRA STEREOTIPI E PUBBLICITÀ: IL CASO “GCDS X BARILLA”

La pubblicità ci influenza – spesso inconsciamente – e allo stesso tempo, talvolta, riflette l’attuale condizione di contrapposizione arbitraria e dicotomica tra i “ruoli sociali” attribuiti alle donne e quelli attribuiti agli uomini.

Ci sono due grandi “visioni” alla base delle differenze di genere: una legata agli aspetti biologici – “biologismo” – e l’altra legata a ideologie che appartengono al filone di pensiero del “sociologismo”.

Che sia per motivi biologici o sociologici è ormai assodato che uomini e donne siano diversi, sia nei processi celebrali, emozionali e cognitivi, e ovviamente, nei caratteri sessuali primari e secondari. Per questo motivo sono state distinte due sostanziali differenze tra uomini e donne: differenze di sesso (biologiche), e differenze di identità sessuale (identità di genere) dovute, invece, ad aspetti psicologici, sociali, culturali.

A tal proposito, Yvonne Hirdman (Y. Hirdman, Gender identity, 2003) afferma che «il genere diviene un elemento connotativo dei prodotti del sistema di valori connesso, così come prescrittivo rispetto al loro utilizzo, e che questo funzioni sulla base di stereotipi, portato di una cultura patriarcale, che pone i due sessi in un sistema oppositivo e complementare basato su principi di separazione e gerarchia», focalizzando l’attenzione su una dicotomia che sfocia nel contesto comunicativo attraverso la creazione di artefatti pubblicitari che, in particolare a partire dagli anni 50’, sottolineano l’esistenza e il crearsi di sempre più marcate etichette di genere e ruoli sociali attributi ad ognuno dei due sessi. Questa tendenza è riscontrabile, ad esempio, in alcune celebri pubblicità come quelle di Van Hausen, Coca Cola, Simmenthal… che vedono protagonista donne sempre sorridenti e gentili, intente solamente a cucinare o pulire casa in totale subordinazione alla figura maschile.

Dagli anni 50’ agli anni 70’ l’asse di comunicazione pubblicitaria si è inclinato verso una considerazione della figura femminile più “onnicomprensiva”, grazie al verificarsi dei vari movimenti femministi, anche se, ancora oggi non si trova in una dimensione di equilibro.

Al riguardo, un’articolo di Immedya sull’influenza degli stereotipi di genere nella pubblicità, riporta come, secondo le indicazioni date dalla Advertising Standards Authority – organizzazione che nel Regno Unito si occupa di regolamentare l’industria pubblicitaria – «nella comunicazione moderna, per essere considerata accettabile alla luce del concetto di Inclusive Advertising, la pubblicità non deve in alcun modo proporre scenari in cui vengano ritratti stereotipi di genere o affibbiate limitazioni legate alla propria condizione di uomo o di donna con lo scopo di cancellare ogni messaggio che fondi i suoi presupposti in una sorta di pregiudizio».

L’era strettamente contemporanea, sta vedendo il diffondersi del Femvertising, nato dalla fusione dei termini “feminism” e “advertising”. Si tratta di una tendenza recente che porta avanti l’idea di uno stile di pubblicità basato sul women empowerment, ma che rappresenta un’arma a doppio taglio in quanto può essere considerata “la necessaria evoluzione del mondo della pubblicità, oppure un nuovo modo di fare soldi sulle spalle delle donne(Hilde Merini).

Un esempio positivo, a tal proposito, è quello di “Dinner’s Ready” by Nadia Lee Cohen | GCDS x BARILLA che mette in scena i temi di inclusività e diversità attraverso un cortometraggio. L’estetica richiama gli anni ’50. Nello sport Sophia Loren esordisce con la frase “È pronto!” invitando i suoi commensali a gustare un piatto di spaghetti al pomodoro (gesto che ha sempre caratterizzato la figura della donna come casalinga). Lo spot incontra la modernità, in quanto vediamo tra i protagonisti drag queen, artisti e influencer in una Hollywood che assume una nuova dimensione:ibrida”.

In conclusione, nonostante le marche si impegnino a declinare la “femminilità” nelle comunicazioni di prodotto e nelle campagne di posizionamento, il settore pubblicitario è generalmente incapace di rappresentare nel modo giusto le donne. Tale incapacità è dovuta ad un’errata targhettizzazione, che ha avuto impatto sull’efficacia di annunci e campagne e che, conseguentemente, si è riversata in una perdita di valore in denaro (come mostra la ricerca  “AdReaction: Getting Gender Right” condotta da Kantar).

Anita Carpinteri