L’informazione non è più un bene introvabile, ma è facilmente reperibile in rete: il citizen journalism, diventato citizen reporting, ha messo al centro della comunicazione giornalistica il cittadino che diventa parte attiva nella creazione e diffusione di informazioni, rendendole a portata di mano. L’evoluzione digitale ha facilitato la diffusione di questa tendenza e ha portato alla nascita di modelli di digital journalism. Come hanno reagito le testate tradizionali?
Il digitale è stato promotore di molte evoluzioni e cambiamenti, in particolar modo per il mondo della comunicazione giornalistica: si sono, infatti, sviluppati nuovi modelli di business di produzione dell’informazione. Stiamo parlando del fenomeno del digital journalism, ovvero lo spostamento dell’informazione giornalistica sul web e sui social network, che impone competenze diverse da quelle di un giornalista tradizionale, in particolar modo nella gestione delle dinamiche dei social. Le leve del cambiamento sono state tre: diffusione del mobile; prestazioni delle connessioni (si pensi alle reti a banda larga e ultra-larga); ruolo dei social network. Forse il termine migliore per definire questo cambiamento è rivoluzione, in quanto il giornalismo digitale ha ridotto le barriere all’ingresso e i costi di distribuzione e comporta una maggiore velocità di reperimento e diffusione dell’informazione, tutte cose impensabili per il giornalismo tradizionale.
Parallelamente, il digitale ha dato impulso ad un’ulteriore tendenza: un tempo i lettori erano meri fruitori di notizie, oggi diventano attori e producono essi stessi le notizie da far circolare. Ecco che si parla di giornalismo partecipativo o citizen reporting. Questo modello ha portato alla nascita di testate operative unicamente online, come Fanpage.it, Comingsoon.it, Linkiesta, ma anche a dei progetti editoriali, più assimilabili ad un blog che ad una testata. Un esempio è costituito da @will_ita, nata il 20 gennaio 2020, che ogni giorno spiega l’economia e la politica su Instagram; ancora possiamo citare HuffPost, noto fino al 2016 come The Huffington Post, un blog statunitense, aggregatore di notizie scritte dai vari blogger. Caratteristica interessante di HuffPost è il metodo utilizzato per la scelta del titolo, per il quale ne vengono visualizzate contemporaneamente due versioni e, dopo qualche minuto, si lascia solo quella che ha attratto più visitatori.
Tuttavia, non è tutto oro ciò che luccica. Vi sono, infatti, delle problematiche legate a questa nuova tipologia di giornalismo. Innanzitutto, molto spesso, manca di autorevolezza e legittimità, in quanto le notizie non possono essere sempre verificate; vi è poi il rischio di impoverimento dell’informazione (in termini di riduzione della qualità) e la diffusione di fake news; infine, un’informazione estremamente frammentata, in mancanza di una buona gestione dei contenuti, può rischiare di apparire incoerente e confusionale.
Tutto questo interessa fortemente le testate tradizionali, che devono adattarsi a questi cambiamenti e trovare soluzioni alternative per essere ancora essenziali e competitive. Fino a qualche anno fa non si aveva una piena consapevolezza delle varie piattaforme digitali e questo ha rallentato il passaggio al digital e penalizzato quelle testate che non sono riuscite ad adattarsi ai nuovi linguaggi e ai nuovi mezzi di distribuzione. Oggi è stato fatto qualche passo avanti e abbiamo alcuni casi di testate che sono riuscite a cavalcare l’onda del cambiamento. Per esempio, il gruppo GEDI ha dato vita a Green&Blue con cui sbarca sul web: un hub digitale punto di riferimento per l’ambiente e l’economia sostenibile. I tre grandi quotidiani del gruppo, Repubblica, Stampa e Secolo XIX e le 13 testate locali del network pubblicheranno tutti i giorni, sui rispettivi siti internet, un prodotto comune fatto di notizie, inchieste, interviste, storie, assieme a tutte le informazioni per sensibilizzare e formare una comunità attenta alle tematiche ambientali.
Eppure, ad eccezione di qualche testata, come quella appena citata, l’Italia è molto più indietro rispetto ad altre realtà. I risultati di un monitoraggio di DataMetaHub hanno evidenziato come le testate giornalistiche gestiscono male il loro pubblico online e diventano un contenitore di link senza filtro, per il solo scopo di fare traffico, senza pensare a creare una community realmente interessata e coinvolta e questo è dimostrato dai commenti degli utenti caratterizzato da un sentiment negativo. Un altro errore comune è il tasso di interazione con le persone che è prossimo allo zero. Infine, l’errore più grande parte proprio dai vertici che non investono nella figura di un social media editor.
In conclusione, possiamo dire che le voci che circolano sulla morte del giornalismo sono false, il giornalismo è vivo e forse è ancora più potente di prima, ma sta subendo un’evoluzione a cui il cartaceo deve adeguarsi per non rischiare di essere superato dalle nuove forme di produzione dell’informazioni e cadere in disuso.
Stefania Pezzuto