I SOCIAL E LA SALITA AL POTERE DEI TALEBANI

Afghanistan 2021: i talebani riprendono il potere dopo la ventennale occupazione statunitense sul territorio… e lo fanno anche grazie ai social media

Prima dell’intervento americano del 2001, i talebani al potere avevano censurato tutti i mezzi di comunicazione. La svolta si ebbe fra il 2008 e il 2009, quando cominciarono a sfruttare la diffusione di internet e dei social media, fino ad arrivare nel 2011 a pubblicare quotidianamente aggiornamenti su Facebook e Twitter. Quest’anno, durante la rapida ripresa del potere, i profili social talebani diffondevano migliaia di tweet spesso annunciando in anticipo la conquista delle città e fomentando così l’idea della loro invincibilità sul campo.

Gli account Twitter talebani arrivarono a superare, per numero di contenuti pubblicati, quelli degli account istituzionali. Il tipo di comunicazione che scelsero di portare avanti, all’indomani della riconquista del potere, era in totale contrasto con le immagini di violenza e terrore che i telegiornali di tutto il mondo stavano divulgando. Decisero di puntare, infatti, su un tipo di comunicazione improntata alla narrazione di pace e alla stabilità. La maggior parte dei contenuti veniva veicolata dal portavoce ufficiale della propaganda fondamentalista: Zabiullah Mujahid, che ha oltre 371mila follower. La diffusione dei messaggi non passava solo attraverso i retweet dei seguaci, ma anche attraverso una rete di account social che copia-incollavano i suoi messaggi, favorendone l’aumento di visibilità. Recentemente i talebani hanno cominciato a fare uso di una molteplicità di profili automatizzati (bot) in modo da rendere ancora più virale la loro propaganda. 

Una differenza rilevante da mettere in luce rispetto al passato è che, mentre prima gli islamisti dovevano affidarsi al filtro occidentale per la diffusione dei propri contenuti, inviando soprattutto video di ostaggi alle redazioni internazionali, ora invece è per loro possibile divulgare contenuti attraverso mezzi propri, senza incorrere in censure e rendendo immediato il processo. 

Per cercare di arginare le ritorsioni dei talebani nei confronti dei loro utenti, i gestori delle piattaforme social, misero in atto delle forme di tutela della privacy per gli afghani iscritti: Clubhouse decise di oscurare le loro informazioni personali, così da non rendere possibile il monitoraggio da parte dei talebani; Facebook bannò gruppi pro-talebani; Twitter si adoperò per accelerare l’eliminazione dei tweet cancellati e LinkedIn tolse temporaneamente la possibilità di visualizzare le connessioni degli utenti afghani. 

Non è ancora chiaro se il largo utilizzo che i talebani hanno fatto dei social media porterà con sé un libero accesso alle piattaforme online da parte dei cittadini. E’ molto più probabile che si originerà una disparità nell’utilizzo per “gli amici” del regime e per i cittadini comuni. Come è noto, infatti, i social network sono anche un potentissimo strumento di nascita ed organizzazione delle opposizioni e potrebbero avere, quindi, un impatto negativo sulla tenuta del potere talebano. 

Le dinamiche dei social media, seppur con alcune censure, hanno di fatto permesso la diffusione dei messaggi di propaganda talebana, favorita anche dall’abilità degli islamisti nel pubblicare contenuti in linea con le policy delle varie piattaforme e, quindi, impossibili da riconoscere e bannare per gli algoritmi (a differenza di quanto invece accaduto, per esempio, con Trump).

Non è questa la sede per attribuire colpe o giudicare l’applicazione dell’attività di censura delle varie piattaforme, ma di certo si può affermare che i social media hanno quanto meno incentivato la salita al potere del gruppo terroristico talebano in Afghanistan. 

Silvia Garbelli