I social offrono una grande opportunità per il settore del giornalismo e per la diffusione di notizie. La rete consente una propagazione rapida e capillare dei messagi, anche se spesso ne viene fatto un uso spregiudicato.
Non sono rari gli episodi di accanimento ed i discorsi d’odio rivolti nei confronti di giornalisti impegnati su fronti caldi dell’informazione come l’immigrazione, la politica o la criminalità organizzata.
Secondo i dati del Servizio Analisi Criminale, nel primo trimestre del 2021 sono stati registrati 63 episodi di violenza e intimidazioni rivolti a giornalisti, nel 42% dei casi avvenuti sul Web.
Gli attacchi più duri sono rivolti alle giornaliste, di cui viene più spesso messa in discussione la professionalità, nonché categoria più esposta ad insulti sessisti. Anche l’analisi di Vox Diritti, che ha posto sotto analisi più di 1.3 milioni di tweet, ha evidenziato come 560 mila siano tweet negativi, di questi il 49.9% rivolto proprio alle donne.
Tra le giornaliste prese maggiormente di mira c’è Angela Caponetto, giornalista di Rainews24, che da anni si occupa di migranti e proprio per il suo lavoro in prima linea sulle ONG è uno dei principali bersagli degli hater. La giornalista, già nel 2017, viene presa di mira su Facebook, dove inizia a circolare una fotografia del suo volto, affiancato a quello di Laura Boldrini, con la scritta “Traditrici della patria”. La giornalista, che non era né una politica né un’attivista, viene bersagliata con insulti sessisti e qualcuno arriva ad augurarle addirittura “di morire come Giovanna d’Arco”. Le minacce si estendono poi anche al di fuori del Web fino a che il giorno di presentazione del suo libro sull’immigrazione a San Benedetto del Tronto la Digos la informa “di essere un soggetto a rischio”. Si tratta di gravi forme di intimidazione, che rischiano di mettere a repentaglio la diffusione delle notizie e censurare la corretta informazione. La giornalista ha comunque continuato imperterrita a fare informazione e approfondire temi a lei cari, rivolgendosi anche alla polizia postale, che è stata in grado di identificare i soggetti da cui provenivano gli attacchi, identificati come appartenenti alla stessa rete che attaccava anche il Presidente della Repubblica.
Spesso gli utenti sono incentivati a tenere un comportamento scorretto da uomini politici e giornalisti stessi. Marianna Aprile, giornalista di Oggi, a seguito di un’intervista raccolta nel libro “#Staizitta giornalista!” mette in luce come esista una responsabilità dei giornalisti per il modo in cui comunicano e nel linguaggio che utilizzano sui social. Talvolta, anche il linguaggio dei giornalisti è violento, finendo così per istigare e fomentare i lettori. Capita spesso che molti si avvalgano del giornalismo in chiave populista, giocando su una logica di polarizzazione ed estremizzazione, per il fatto che contenuti di questo genere sono legati a vantaggi in termini di engagement e follower.
Esiste un corto circuito tra l’utilizzo della rete, soprattutto le reti sociali di Facebook e Twitter, e quelle che sono le logiche che stano dietro questi strumenti. Si tratta infatti di logiche commerciali, denunciate anche dagli insider della piattaforma. Spesso queste logiche portano a massimizzare la diffusione di contenuti polarizzanti ed estremizzati, proprio per il fatto che generano traffico. Ciò che è in grado di diventare rapidamente virale sono infatti contenuti aggressivi, che a loro volta aumentano e moltiplicano le polarizzazioni. All’interno di questi meccanismi si inseriscono proprio giornalisti, e spesso anche politici, proprio coloro che dovrebbero fare maggiore attenzione all’uso delle parole e alle relazioni con il proprio pubblico.
Di fronte a tali situazioni si rende necessario un maggiore intervento di moderazione da parte delle stesse piattaforme, della polizia postale e un intervento di regolazione più stringente in questo settore. Sarebbe inoltre utile una maggiormente educazione e formazione rivolta agli utenti nell’utilizzo delle piattaforme.
Elisa Rizzoli