Tra il 31 ottobre e il 12 novembre si è tenuta a Glasgow la COP26, cioè la 26sima edizione della Conference of the Parties. I paesi che hanno firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel 1994 si sono riuniti in un summit globale su come affrontarli oggi.
Qualsiasi decisione presa potrebbe portare a grandi cambiamenti nella nostra vita quotidiana, e pertanto molte terze parti hanno provato ad approfittare dell’occasione per far sentire la loro voce contro la disinformazione climatica.
Tra le varie lettere aperte giunte in Scozia, una fra tutte aveva un bersaglio preciso.
Come mittente troviamo il Conscious Advertising Network, che ha radunato 250 tra ONG, brand e think tank per chiedere ai leader globali e alle piattaforme tecnologiche di agire sulla disinformazione sul clima. La lettera critica gli account e le pagine che hanno beneficiato della spesa pubblicitaria, mentre producevano e promuovevano la disinformazione sul clima durante il COP26. Infatti, dai monitoraggi dell’Institute for Strategic Dialogue è emerso come la disinformazione online sul clima sia ad oggi dilagante e come le attuali misure delle piattaforme tecnologiche siano risultate insufficienti per arginarla.
L’appello alla presidenza del COP26 e all’UNFCCC, e ai CEO di Facebook, Instagram, Google, Twitter, TikTok, Pinterest e Reddit è stato molto chiaro: ribadire la necessità di un’azione urgente contro chi sminuisce l’esistenza o l’impatto del cambiamento climatico. Chiaramente, si tratta di un’azione che deve partire e operare proprio sul terreno fertile delle fake news in questione – dunque le Big Tech di cui sopra. Ai giganti della tecnologia è stato infatti chiesto di unirsi a riguardo nello stesso modo in cui hanno fatto all’inizio della pandemia di Covid-19, quindi implementando politiche, contenuti, algoritmi e tools per affrontare la disinformazione.
Questa lettera aperta guidata dall’industria pubblicitaria ha esortato le piattaforme a produrre nuovi piani per affrontare la disinformazione sul clima, tra cui un processo di fact-checking indipendente e trasparente, standard comunitari che non consentano dichiarazioni ingannevoli sulla scienza o la politica del clima, e un approccio a tolleranza zero comunicato direttamente agli utenti.
Di come le piattaforme GAFAM stiano agendo al momento ve ne ha già parlato la mia collega Simona qui. Brevemente, Google è stata elogiata proprio nella lettera per la sua nuova policy che vieta la pubblicità e la monetizzazione di contenuti che contraddicono il consenso scientifico sull’esistenza e le cause del cambiamento climatico. Facebook la scorsa settimana ha detto che stava espandendo il suo Climate Science Centre, che fornisce informazioni fattuali sulla crisi climatica, e ha attivato il rilevamento delle parole chiave per trovare più facilmente i contenuti correlati durante la COP26. Allo stesso modo Twitter è “impegnato a elevare le informazioni più recenti e autorevoli” sulla COP26 e a diffonderle attraverso hub nelle sezioni Esplora, Cerca e Tendenze.
Tuttavia, davanti a un problema così grande nulla è mai abbastanza: la principale richiesta alle piattaforme è di smettere di promuovere e finanziare la negazione del clima, di iniziare a etichettarla come disinformazione, e di smettere di offrire i vantaggi del loro enorme potere a bugie e contenuti fuorvianti.
In conclusione, è importante riconoscere il ruolo della disinformazione nel plasmare le nostre risposte al cambiamento climatico, e azioni come quella del Conscious Advertising Network sono meritevoli di stima e di attenzione. Comprendere le origini e la diffusione della disinformazione climatica è l’imperativo per non distruggere il dibattito pubblico e soprattutto il nostro pianeta.
Sicuramente la strada per limitare il riscaldamento globale a 1,5ºC non sarà semplice, ma la COP26 è stata l’occasione perfetta per far luce su questo grande ostacolo. Speriamo, attraverso la una cooperazione altrettanto globale, di riuscire a saltarlo.
Lucia Bernabei