Le nuove tecnologie e gli algoritmi stanno davvero facendo terra bruciata al lavoro giornalistico in rete?
Sin dalle origini di Internet, è stato chiaro che quest’ultimi avrebbero mutato radicalmente il mondo dell’informazione: il modo in cui si fruiscono le notizie, in cui i contenuti vengono proposti e in cui le notizie, vere o false che siano, si diffondono nel Word Wide Web rappresentano l’apice di un processo di rinnovamento, avvenuto grazie alle nuove tecnologie, che ha contribuito a mettere in crisi la carta stampata.
Algoritmi, big data, intelligenza artificiale e piattaforme online sono solo alcune delle nuove realtà con cui un giornalista deve interfacciarsi nel suo lavoro quotidiano. La principale novità del lavoro di redazione riguarda l’uso di questi strumenti nella selezione, diffusione e mercificazione delle news sul web. Infatti, se la selezione dei contenuti di un giornale è sempre stato il principio cardine su cui le testate basavano le loro scelte, coerenti con la linea editoriale scelta, oggi la selezione e distribuzione dell’informazione in rete si basa sulle logiche degli algoritmi delle piattaforme, che scelgono come proporre i contenuti a seconda di criteri di calcolo basati sulle tracce e i comportamenti degli utenti.
Un esempio della commistione tra intelligenza artificiale e testate editoriali è l’uso dello strumento Echobox da parte delle redazioni dei principali quotidiani italiani e internazionali, come Il Sole 24 Ore, Le Monde, The Independent, National Post. Questo strumento di AI si occupa principalmente di decidere quali articoli, presenti sulla pagina web delle testate, meritano di essere pubblicati anche sugli account social dei giornali, sulla base di due criteri: la rilevanza potenziale e la capacità dell’algoritmo di Echobox di dialogare con gli algoritmi delle altre piattaforme. Per quanto riguarda la rilevanza potenziale, Echobox calcola uno score per gli articoli che va da 0 a 100: più lo score è alto e più l’articolo è potenzialmente interessante per il fruitore di notizie. Invece, il secondo criterio si concretizza in un lavoro congiunto tra l’algoritmo di Echobox e gli algoritmi delle principali piattaforme, per far sì che l’articolo pubblicato sui social trovi le giuste persone a cui rivolgersi, nell’esatto momento in cui viene pubblicato: si occupa, quindi, di capire il momento in cui si riesce a raggiungere un determinato tipo di pubblico e a ottimizzare l’incontro tra domanda e offerta di informazione.
Ma il mondo dell’informazione è davvero totalmente nelle mani degli algoritmi? Nonostante sembri proprio che questi strumenti tecnologici stiano minando l’indipendenza e la deontologia giornalistica, fortunatamente le cose sono meno tragiche di quello che sembrano: il giornalista rimane alla guida di questi processi, con il compito di interpretare e analizzare i dati che l’algoritmo restituisce per fornire un’informazione completa anche online. Nel caso di Echobox, per esempio, il giornalista può decidere da quale sezione del sito web l’algoritmo deve scegliere gli articoli o l’orario di pubblicazione degli stessi.
Quello che invece sta sfuggendo di mano al mondo del giornalismo è il controllo della diffusione online delle notizie: le piattaforme decidono cosa proporre al lettore e in quale ordine, suggerendo contenuti sempre più affini agli interessi di chi legge. Inoltre, il processo di costruzione delle notizie non si basa più su scelte editoriali guidate dai principi della deontologia giornalistica, ma viene definito dalle richieste degli utenti e dai modelli economici che sottostanno alle logiche delle piattaforme. A fronte di ciò, non dobbiamo confonderci: mentre le logiche delle testate fanno capo alla deontologia, quelle delle piattaforme si basano su logiche commerciali e meccanismi di mercificazione delle notizie, che saranno nel tempo sempre meno imparziali e indipendenti.
Raffaella Lamacchia Acito