4 ottobre 2021. Quasi 7 ore di down totale per il mondo di Zuckerberg (Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger) che ha coperto tutta la penisola: dall’Europa agli Stati Uniti.
La causa è stata individuata in un errore interno di configurazione dei router, interrompendo il traffico di rete tra i suoi computer e centri dati ad essi collegati.
Nessun sabotaggio, ma comunque un crollo: del titolo di Facebook, la cui perdita è stimata attorno ai 6 miliardi di dollari a livello mondiale, dei dipendenti stessi della grande F, impossibilitati ad accedere agli uffici per il malfunzionamento dei loro badge, ma soprattutto degli utenti, che sono stati catapultati indietro nel passato, agli SMS, alle mail, alla ricerca di informazioni da Google.
Un questionario sottoposto ai CIMERS del primo anno (77 rispondenti) rivela che quasi un terzo delle new entry di CIMO ha vissuto male la situazione.
La sensazione di smarrimento e la crisi psicologica iniziale sono state inevitabili. Come i sintomi di un’astinenza da quella che, dopo questo accadimento, potrebbe senza esitazione essere definita come “social media addiction”.
Ci si è accorti della fragilità di un colosso che si dava invece per assodato nella propria vita di tutti i giorni. Fragilità che si ripete, anche pochissimi giorni dopo, venerdì 8 ottobre, con il nuovo down di Instagram, per il quale gli utenti non hanno potuto accedere, connettersi all’app o caricare contenuti per una durata di circa un’ora.
Il silenzio scaturito ha lasciato indifferente più della metà dei CIMERS, che hanno proseguito la loro quotidianità senza particolare disagio, ma ha anche fatto spazio ai pensieri e alle riflessioni.
Abbiamo ricominciato a conversare con persone sconosciute sui mezzi; siamo tornati ai giochi da tavolo, ad un’attenzione verso la TV non più confinata a dei suoni di sottofondo; abbiamo rivalutato le care vecchie notizie provenienti dai motori di ricerca, le altre piattaforme, come Telegram, TikTok, Twitter (su cui gli hashtag #facebookdown e #instagramdown sono diventati immediatamente trending topics), ma anche le e-mail e la messaggistica.
Tutto ciò nel giro di sette ore. Questo lascia spazio ad un esame di coscienza molto più profondo. È indubbio che i social media costituiscano ormai una parte fondamentale della vita contemporanea di persone ed imprese, ma vi stiamo forse diventando eccessivamente dipendenti? Ci stiamo distaccando oltremisura dalla realtà?
Più del 42% dei CIMERS intervistati ritiene che il down del pianeta Facebook possa avere conseguenze sull’uso dei suoi social media in futuro.
Alcuni hanno ritenuto questo evento un’opportunità per liberarsi dall’ansia sociale, per “disintossicarsi”. Altri lo ricorderanno più per le proprie riscoperte di un mondo, se non offline, un po’ meno “facebookiano”.
Quello che è sicuro, in un’epoca in cui il tempo corre troppo per fermarsi a riflettere, in cui non c’è spazio se non per la normalità, per le stories su Instagram, per i commenti nei Gruppi di Facebook, per le GIF su WhatsApp (e per il colossale iceberg di funzionalità che si nasconde al di sotto di questi), è che lo scivolone di Mark non verrà perdonato dai suoi utenti, i quali certamente continueranno le loro vite sui social quasi come prima.
Quasi, perché più consapevoli, e forse anche più dissuasi.