Come diceva una nota scrittrice statunitense «Le mie idee non mi arrivano solitamente alla scrivania mentre scrivo, ma mentre sto vivendo». Ed è proprio all’interno di un frame di vita quotidiana che ha preso piede Vinted, la ormai celebre app di moda, nata da un bisogno e da una spinta dal basso, lontana – almeno inizialmente – da logiche produttive top-down.
Ha tutto inizio nel 2008 in una maniera del tutto inaspettata: una giovane donna, nel mettere assieme i tipici scatoloni, si rende conto di avere troppo abbigliamento da dover portare nel nuovo appartamento. Ed è allora che il compagno decide di creare un sito, attraverso il quale avrebbe regalato tutti i capi in esubero agli amici.
L’idea piace moltissimo, a tal punto che inizia a prendere vita un lungo passaparola che ha portato alla nascita di Vinted.
Un tempo c’era l’appuntamento settimanale con il mercato all’aperto, dove vi era sempre almeno una bancarella dell’usato: abbigliamento, scarpe e qualsiasi altro accessorio, che fosse in buono stato, diventato inutilizzato e quindi venduto. Questo a dimostrazione del fatto che nulla è stato inventato da zero, ma si tratta piuttosto di un processo di ri-mediazione, in cui una pratica tradizionale viene ridefinita all’interno dello scenario digitale odierno.
Quel che rimane invariato sono i diversi aspetti tipici del “business dell’usato”, come il risparmio nell’acquistare un bene alla moda, la riduzione di sprechi favorendo la sostenibilità ambientale e, perché no, il divertimento nel ricercare, nel vendere e nel socializzare.
Applicazione nata più di 12 anni fa e oramai diffusa in tutta Europa, oltre che negli USA e nel Regno Unito, è arrivata solo recentemente in Italia. Seconda una ricerca condotta proprio da Vinted, lo scorso anno pare che un terzo degli italiani abbia comprato beni usati e la metà di essi lo ha fatto online.
Ed è in questo scenario che si inserisce a gamba tesa la nuova dimensione della pandemia: tra scuole e università in via telematica e lo smart-working, ci siamo trovati ad usare sempre meno vestiti. Tailleur, completi con giacca e pantalone da uomo, cravatte… Tutto è stato in parte sostituito da comode tute.
Ed è proprio nel bel mezzo di questa trasformazione che, mettendo mano ai nostri armadi, ci siamo resi conto della quantità di vestiti appesi, alcuni nuovi di zecca, usati poco o nulla.
La sedentarietà legata al virus, la chiusura delle palestre, la clausura forzata ha, per forza di cose, portato molti a non riuscire più a rientrare nelle proprie taglie. Si è mangiato molto, camminato poco ed accumulato chili.
Non c’è nulla di peggio che guardare un bel paio di pantaloni, sapendo di non poterli indossare. Stesso ragionamento per i più piccoli che crescono a vista d’occhio.
Ecco allora, proprio a seguito di un bisogno emerso da un contesto di vita quotidiana, che nasce l’idea di dare vita ad una vera e propria community online, dove persone di ogni genere ed età si ritrovano a socializzare e passare il loro tempo, oltre che ovviamente a scambiarsi capi di abbigliamento.
È tutto molto semplice: dopo aver fotografato il capo da più angolazioni, si fotografa il cartellino e si inserisce il tutto sull’applicazione, fruibile sia da pc che da smartphone, indicandone il prezzo richiesto e la taglia.
A tutto ciò si aggiunge la sicurezza della piattaforma, con un sistema di pagamento, spedizione e restituzione totalmente affidabile.
Un trend, quello della moda “second hand”, che è destinato a crescere sempre di più, con un’unica perplessità: continuerà il dominio di Vinted, o vi saranno nuovi player che proveranno a scalzarlo?
Alessandro Rizzi