VINTED: LA MODA “SECOND HAND” APPRODA IN ITALIA

Come diceva una nota scrittrice statunitense «Le mie idee non mi arrivano solitamente alla scrivania mentre scrivo, ma mentre sto vivendo». Ed è proprio all’interno di un frame di vita quotidiana che ha preso piede Vinted, la ormai celebre app di moda, nata da un bisogno e da una spinta dal basso, lontana – almeno inizialmente – da logiche produttive top-down.

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THRIFT FLIPPING: SOSTENIBILITÀ O DANNO IRREPARABILE?

Se ancora molte delle nostre mamme e nonne vedono gli affaroni che siamo riusciti ad agguantare su Depop dopo ore di scrolling come articoli appestati, prefigurandosi un* ex-proprietari* infett*, per molti di noi Gen Z avere abiti di seconda mano nel proprio armadio è qualcosa di assolutamente normale. Secondo dati di thredUp, una delle piattaforme di resale più note al mondo, il 90% degli shopper di questa generazione è giá in possesso o si dice apert* ad acquistare secondhand. La spinta sarebbe, in primo luogo, la sostenibilità, tema molto caro a tutti gli wannabe (o semplici fan di Greta) Thunberg, ma anche la possibilità di pagare un pezzo stracciato per pezzi vintage originali che si adattano perfettamente all’estetica in voga su Instagram.

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QUANDO IL FUTURO DIVENTA L’USATO

Ormai da qualche anno, in linea con la crescente attenzione che i consumatori prestano alla sostenibilità e al prezzo, il vintage sta acquisendo sempre più attenzione, anche tra gli shopper più modaioli.

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