LA NOVELLA DEGLI SCACCHI – PASSIONE O OSSESSIONE?

Caselle bianche e caselle nere. Un danza strategica e minuziosamente orchestrata. Una scacchiera non è solo una tavola composta da sessantaquattro caselle su cui pedoni, cavalli e regine si muovono. Per molti significa strategia, studio e dedizione. Non è solo un gioco, è ambizione, passione e a volte persino ossessione. Emblema di ciò sono Mirko Czentovič e il dr. B, protagonisti de “La novella degli scacchi”, l’ultimo racconto di Stefan Zweig prima del suicidio, avvenuto il 22 febbraio 1942.

Stefan Zweig (1881-1942) è stato un poeta, scrittore, drammaturgo austriaco, naturalizzato britannico. Fervente oppositore, nel primo dopoguerra, dei totalitarismi, anche per le sue origini ebraiche si rifugiò in Brasile dove, nel 1942, si suicidò insieme alla moglie. Ne “La novella degli scacchi” l’autore si ispira ai suoi ultimi giorni di vita, trascorsi a Petropolis ,e racconta, attraverso l’espediente di un narratore intradiegetico, della partita giocata tra due personaggi tanto diversi quanto simili, poiché accomunati dalla medesima capacità, Czentovič e il Dr. B.

Il primo è un giocatore professionista di scacchi, un campione, praticamente imbattuto. Per lui il tavoliere è stato salvagente da una vita povera e infelice. Orfano e nullatenente Czentovič si avvicina al gioco osservando, ancora bambino, una partita. Da lì ha inizio una carriera che lo porta alla fama. Figlio di una mentalità grezza ed arrogante egli eccelle solo nell’arte degli scacchi, sua unica capacità; non è educato, non è colto, anzi, è proprio ignorante. Ed è proprio per la consapevolezza di non poter sostenere una normale conversazione che si ritira in una vita angusta, interfacciandosi con il mondo esterno solo tramite il gioco.

Suo avversario, nel racconto, è il dott. B, un genio degli scacchi, se così si può dire. Egli si avvicina al gioco nel momento in cui viene internato in una piccola stanza d’albergo dalla Gestapo. Tradito da una talpa, i nazisti lo rinchiudono e cercano di portarlo allo stremo delle forze così da estorcergli informazioni rispetto a documenti che egli compilava per l’aristocrazia viennese. La reclusione lo conduce lentamente alla follia fino al momento in cui, di nascosto, sottrae un volume che contiene la spiegazione di 150 partite di scacchi. Dapprima deluso dal contenuto, la lettura è l’inizio di un percorso che lo porta ad imparare minuziosamente ogni mossa, ogni strategia, ogni minimo movimento, partendo dal replicare – a mente – tutte le partite del libro. La pratica lo aiuta a sviluppare una capacità immaginifica senza paragoni, tanto da riuscire a disputare intere partite senza mai avere a disposizione una scacchiera. Il gioco diventa così per lui prima un passatempo, poi una vera e propria ossessione.

I due geni si scontrano un pomeriggio, durante un viaggio in nave, in una partita epica, almeno all’apparenza. Una passione può salvare, può portarti ad ottenere il riscatto, del resto ce lo ha già insegnato Beth Harmon, la protagonista de “La regina degli scacchi”. Al contempo la bravura e la competizione hanno spesso come compagna la pazzia. Anche se in modi differenti Czentovič e dott. B lo dimostrano, uno con l’arroganza e l’altro con l’ossessione. Nel corso del gioco Czentovič appare del tutto impassibile, rinchiuso nella certezza della vittoria; sicurezza che anima anche lo spirito combattivo del dott. B e che pian piano muta in una febbre nevrotica.

I due protagonisti sono poi l’esemplificazione di due differenti modalità con le quali approcciarsi al mondo, l’uno con schietto realismo, l’altro con fervida immaginazione. La scacchiera è solo un pretesto per fuggire da un mondo crudele, che non fa prigionieri. Sconfitti da un ambiente che li ha distrutti e che li ha delusi, sopravvissuti in un mondo troppo ingiusto, esprimono un bisogno concreto di evasione e di rivalsa.

In fondo tutti siamo un po’ Czentovič e il dott. B, bisognosi di trovare un perché, un qualcosa a cui dedicarci per sfuggire alla noia, alle delusioni e ad un ambiente che ci mette costantemente alla prova.

Giulia Farina