Il sogno ricorrente dei gamers più incalliti? Probabilmente vivere una vita che intrecci insieme realtà ordinaria e realtà virtuale, accumulare life points mentre si va all’università o si raggiungere l’ufficio… Forse un’aspirazione un po’ fuori dalle righe e (ad oggi) difficilmente realizzabile, ma il fenomeno degli Space Invaders, alieni pixellati, che dallo schermo hanno letteralmente invaso le principali città europee (ma anche del mondo), ci offre un assaggio di una realtà “invasa” dai videogiochi, fatta di umani-cacciatori alla ricerca di colorati mostriciattoli che si nascondono sulle facciate dei palazzi, tra i muretti delle città o sulle insegne di un bistrò.
Anche i più giovani non possono non conoscere il leggendario videogame arcade space invaders: uno dei primissimi shooting games, il cui scopo era quello di sparare a oltranza su orde di alieni desiderosi di invadere il pianeta. Il gioco, sviluppato da Tomohiro Nishikado, apparve in Giappone nel 1978 e divenne il videogame più venduto al mondo.
Nonostante per gli standard odierni la sua grafica sia considerata molto primitiva, Space Invaders ha avuto un impatto enorme sulla società e sulla stessa industria dei videogiochi. Richiami ai mostri provenienti da galassie ignote si ritrovano in altri videogiochi, in film, le astronavi aliene sono rappresentate su tazze, figures e persino in qualche fumetto. Ma gli Invaders non si sono fermati e hanno letteralmente invaso anche la street art colonizzando facciate di palazzi, segnaletica stradale, metropolitane, idranti, ponti, marciapiedi, muri, semafori e tetti: da Parigi a New York, Roma, Miami, Hong Kong, Londra e altre numerosissime città europee.
Ma Parigi rimane la città natale degli Invaders, il luogo in cui si nasconde il numero maggiore di mostriciattoli raffigurati con tante tessere colorate in ceramica attraverso la tecnica del mosaico.
Ma come hanno fatto gli Invaders ha disseminarsi per le città? Sebbene l’idea di queste navicelle che escono dagli schermi e iniziano a giare per le città sia degna dei migliori film di fantascienza, la verità è senz’altro più realistica ma non rinuncia a qualche nota di mistero.
Un po’ come per Banksy, anche il volto dell’artista che si cela dietro i mosaici pixellati è ignoto, mascherato affigge i suoi mosaici di notte. Lui si definisce un AVNI, un “Artiste Vivant Non Identifié” (Artista Vivente Non Identificato), ma il nome che i suoi ammiratori mormorano davanti a questi particolarissimi insiemi di pixel è Invader, un richiamo proprio al videogame oggetto e fonte di ispirazione per la sua street art.
I primi Space Invaders ricalcano le forme dei loro cugini digitali del videogioco. Con il passare del
tempo Invader ha deciso di sperimentare anche altre forme più complesse e non legate necessariamente all’immagine dei piccoli alieni. Passeggiando per Parigi ci si può imbattere in tanti personaggi: dai videogames (Super Mario, Kirby) ai cartoni animati (Alice nel paese delle meraviglie, la Pantera Rosa), fino ai supereroi e personaggi di fantasia.
La filosofia alla base dell’impegno artistico è quella di “liberare” l’arte dal contesto del museo tradizionale per proporla in luoghi che siano alla portata di tutti e Invader ha scelto di farlo metaforicamente, liberando gli Space Invaders dallo schermo e rendendoli reali attraverso figure pixellate ottenute grazie al mosaico.
Il fenomeno degli Space Invaders è una sinergia di attività e nuovi modi di fruire il gaming, l’arte e anche il turismo. Si cacciano gli invaders non più nel buio della sala gioco ma grazie all’ubiquità della connessione e attraverso l’app FlashInvaders (che consente di fotografare-catturare i mostri trovati tra la città). Si viaggia e si sviluppa una conoscenza molto più intima delle città che si visita, soffermandosi su dettagli dei quali normalmente non ci si accorgerebbe e ritrovandosi in luoghi nei quali altrimenti molto probabilmente non si passerebbe nemmeno. Si cammina con il naso all’insù, all’ingiù, lo sguardo a destra e a sinistra alla ricerca di nuove forme d’arte per catturare non solo una creatura pixellata, ma anche un istante di libertà estetica.