È una vera e propria operazione nostalgia quella proposta da My Heritage, piattaforma israeliana nota in tutto il mondo per il servizio di ricerca genealogica e analisi del DNA che offre ai suoi clienti: la società ha da poco realizzato e immesso nel mercato Deep Nostalgia, un tool che consente agli utenti di animare per qualche secondo i volti presenti sulle foto.
Grazie all’intelligenza artificiale, lo strumento dà letteralmente vita agli sguardi, agli occhi, alle bocche che fino ad ora restavano fissate in pose che eravamo abituati a pensare e ricordare immutabili. Gli sviluppatori hanno pensato alle foto dei nostri cari che non ci sono più, ma nulla impedirà all’utente di usare il tool anche sui ritratti di chi ancora è tra noi, ma che magari non vediamo da molto, o con cui i rapporti si sono sfilacciati o interrotti: quale effetto potrà avere vedere schiudersi il sorriso di una vecchia fiamma della nostra adolescenza o gli occhi dei nostri figli neonati aprirsi stupefatti al mondo? Davvero sarà solo nostalgia? Sospireremo consapevoli di quanto veloce sia passato il tempo della nostra vita o perché quel volto sorridente ci metterà crudelmente di fronte a ciò che poteva essere e non è stato?
L’operazione nostalgia del network israeliano suscita, piuttosto, un senso di inquietudine, di perturbante originato da un oggetto inanimato che prende improvvisamente vita: le brevi GIF create dall’utente, le animazioni senza suono che per pochi istanti “muovono” letteralmente i nostri scatti, soddisfano in qualche misura il nostro insopprimibile bisogno di eternità e la nostra atavica paura della morte, e certamente va riconosciuto agli autori del tool la brillante intuizione che li ha portati a intercettare e catturare questi nostri bisogni inconsci.
Ma non possiamo non riflettere sul fatto che lo sviluppo sempre più accelerato e invasivo del digitale e dell’A.I. sta progressivamente erodendo le dimensioni che più ci appartengono e che meglio contribuiscono a costruire la nostra identità, quelle del tempo e della memoria.
È paradossale, ma “vedere” i nostri nonni che volgono gli occhi verso di noi o ci sorridono grazie ad un algoritmo, lungi dall’essere un vero recupero memoriale, al contrario ci depriva di quella dimensione dell’indeterminatezza e della lontananza nel tempo che invece genera una “sana” nostalgia.
Nell’era dei social, dunque, i morti continuano a vivere in quel “cimitero di profili” che è Facebook o nelle foto ingiallite che abbiamo digitalizzato e “rivitalizzato”, e in molti pensano che anche questo sia il bello della civiltà digitale…non rischiamo, invece, di dimenticarci che ciò che ci caratterizza autenticamente come umani è proprio la nostra mortalità?