COMUNICAZIONE E SALUTE: IL PROBLEMA DELL’INFODEMIA

Venerdì 20 marzo, durante la Digital Week, noi studenti di Cimo abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con esponenti di diverse Istituzioni sul tema “comunicazione e salute”. Questo binomio appare alquanto insolito, ma se lo si analizza bene, non c’è niente di distonico, anzi. La comunicazione, la BUONA comunicazione, è salute. L’aggettivo “buona”, accanto al termine comunicazione, è da enfatizzare in maniera particolare perché purtroppo non tutto quello che si ascolta e si vede è buono, giusto, sano, e mai, come in questo particolare periodo storico, abbiamo potuto sperimentare quali siano gli effetti devastanti delle negligenze comunicative e della disinformazione.

La rivoluzione digitale ha cambiato il mondo, non lo si può negare, rendendo la comunicazione e l’accesso all’informazione più egualitario e paritetico. Questa è stata una grande conquista in ambito di diritti, ma è indubbio che vi siano anche dei lati negativi, perché saper comunicare richiede una buona dose di impegno ed è una missione. Uno degli effetti collaterali di questa espansione comunicativa è quella che viene soprannominata infodemia.

Il termine infodemia rimanda proprio ad una circolazione eccessiva di informazioni, spesso non vagliate con accuratezza, che rendono difficoltoso orientarsi su un determinato argomento, proprio perché è difficile riconoscere le fonti attendibili. La parola italiana deriva dall’inglese Infodemic (information e pandemic), un termine coniato da un giornalista nel 2003, proprio durante un’altra emergenza sanitaria, quella della Sars. Diciotto anni fa, come oggi, la diffusione veloce di un virus è andata di pari passo con la diffusione di una quantità incalcolabile di informazioni non sempre opportunamente certificate. La differenza che intercorre tra l’infodemia e un sovraccarico cognitivo, infatti, è che questa, si verifica quando riceviamo un eccesso di notizie unito ad una sovrabbondanza di fonti e voci che rendono difficile capire su chi fare affidamento. A creare questa dinamica, non è solo la quantità di notizie distorte o non verificate che circola sui social, ma anche le notizie di carattere istituzionale, se fuori controllo. In tempi di “normalità”, le informazioni e le notizie hanno un iter da seguire prima della pubblicazione, dei tempi fisiologici per essere verificate. In situazioni di emergenza, invece, la comunicazione non tiene spesso in conto questi tempi e tutti i fatti diventano notizie in una folle corsa al sensazionalismo.

Un esempio di preprint, che ha poi alimentato la diffusione di news di ogni tipo, dal complottismo fino al razzismo, è stato quello del 2 febbraio 2020. In questa occasione dei ricercatori indiani avevano pubblicato un articolo in cui asserivano che il Coronavirus avesse parti genetiche comuni all’ HIV e che quindi si potesse sostenere che il nuovo virus fosse stato creato in laboratorio proprio a partire dal virus dell’immunodeficienza. L’articolo è stato rimosso dopo due soli giorni poiché la Comunità scientifica lo aveva ritenuto infondato. Nel frattempo, aveva fatto letteralmente il giro del mondo e, nonostante la sua smentita, aveva già creato danni irreparabili.

Anche le recenti notizie legate alla somministrazione del vaccino AstraZeneca, ai suoi effetti collaterali, alla sua effettiva efficacia, possono essere annoverate tra i casi di infodemia. Sono un esempio lampante di come il continuo pubblicare informazioni contraddittorie su un tema così delicato non faccia altro che creare allarmismo e sfiducia nel popolo.

L’elenco dei casi da prendere in considerazione sarebbe ancora lungo e purtroppo per l’Infodemia non esiste un vaccino. Tuttavia, una cura efficace sarebbe consapevolizzare i cittadini sull’importanza della comunicazione e orientare i media verso un’informazione destinata al benessere del proprio pubblico.

Sofia Contini