Il cinema ha la capacità di parlare di pressoché qualsiasi argomento, trasportando lo spettatore in qualsiasi epoca, luogo o immaginario, ma per rendere credibile la narrazione non può prescindere dagli abiti. Ma cosa succede quando la moda da semplice oggetto di scena ne diventa il soggetto?
Durante il lockdown e la pandemia, in un momento in cui non era (e momentaneamente non è) più possibile prendere parte ad eventi quali sfilate o settimane della moda, molti stilisti hanno cercato nuove vie per mostrare al pubblico mondiale le proprie creazioni. Tra i media usati c’è stata una riscoperta del cinema e dei cortometraggi, realizzati in collaborazione con grandi registi tali Gus Van Saint, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino.
I più appassionati ricorderanno che la collaborazione tra l’alta moda e Hollywood ha origini di molto antecedenti all’anno scorso. Prendendo in considerazione i tempi più recenti, già nel 2013 Miuccia Prada aveva commissionato a Wes Anderson il cortometraggio Castello Cavalcanti, inaugurando una felice collaborazione sfociata nella progettazione del Bar Luce alla Fondazione Prada (2015) e nella mostra Il Sarcofago di Spitzmaus e altri tesori da lui allestita e curata, inaugurata nel 2019; successivamente, nel 2014 Giorgio Armani aveva aperto la sua sfilata P/E 2015, con il corto Sabbia di Paolo Sorrentino.
Tuttavia, ciò che differenzia queste ed altre precedenti collaborazioni da quelle realizzate nel 2020, durante la pandemia, è che questi filmati fungevano solo da accompagnamento alle creazioni degli stilisti. Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa di Dior dal 2016, ha recentemente dichiarato di essersi “accorta in pandemia che (il cinema sia) l’unica arte per poter dare un immaginario in modo corretto” e che questo abbia “bisogno di autori che con la loro specificità e storia possano raccontare con le immagini il lavoro della moda”[1].
Da qui, in primavera e in pieno lockdown globale, ha deciso di utilizzare proprio la settima arte per mostrare al suo pubblico internazionale la nuova collezione Haute Couture A/I 2020-2021 con il cortometraggio Le Mythe Dior, con la regia di Matteo Garrone, trasportando gli abiti in un mondo parallelo e bucolico, ed inserendoli in un racconto con rimandi alla mitologia classica e alle opere romantico-simboliste di Dante Maria Rossetti.
Il rapporto moda-media è stato ulteriormente approfondito dalla Chiuri nella sfilata Prêt a Porter P/E 2021, dove con la collaborazione della regista Alina Marazzi ha trasportato il pubblico nell’arte multimediale di Lucia Marcucci, artista italiana appartenete al Gruppo 70 ed esponente della Poesia Visiva. La sfilata è stata realizzata partendo da alcune delle opere realizzate dall’artista che attingevano dai diversi comparti mediali, mescolandoli in collage. La sfilata stessa è stata parte di un opera d’arte, essendo stata la realizzazione di un progetto incompiuto della Marcucci, La Vetrata di Poesia Visiva. La passerella, infatti, è stata allestita sotto delle maestose vetrate che richiamavano la sacralità delle cattedrali, reinventandole in chiave contemporanea. Le immagini erano un dialogo di ritagli di riviste e di opere della storia dell’arte, di Giotto, Piero della Francesca, e Monet. Anche in questo caso la Chiuri ha unito moda a cinema facendo realizzare ad Alina Marazzi il filmato “To cut is to think” (citazione dell’omonimo saggio di Germano Celant sul rapporto tra arte e moda) dove, in questo caso, il richiamo all’atto di tagliare voleva evidenziare un passaggio fondamentale comune sia al cinema, con il montaggio, che alla moda, con il taglio delle stoffe.
Essendo ancora impossibilitata dal poter realizzare uno show a causa della situazione contingente, la Churi, per presentare la collezione Haute Couture S/S 2021, ha rinnovato il sodalizio artistico con Garrone realizzando il corto Le Chateau du Tarot, ambientandolo nuovamente in un’atmosfera fiabesca con rimandi all’universo esoterico. Anche in questo caso la ricerca alla base della realizzazione del corto rimanda a diverse sfere della cultura e dei media più o meno recenti. Dalle rappresentazioni di tarocchi di Bonifacio Bembo per i duchi di Milano nel XV secolo, al libro Il castello dei Destini incrociati di Italo Calvino.
Il rapporto stesso con i tarocchi è inoltre un riferimento al fondatore, Christian Dior noto negli anni ’40 come “L’uomo più superstizioso del mondo”, che affidava la conferma del successo dei suoi abiti alle carte. Il legame tra Dior e Media è profondo e ha radici storiche. Già nel 1933, il giovane Christian Dior, alle prese con la sua prima attività di gallerista di arte, realizzò una mostra sui Surrealisti con opere che comprendevano anche pellicole e fotografie.
Maria Grazia Chiuri, portando avanti il percorso iniziato dal fondatore, ha recentemente confermato l’interesse per il mondo del cinema, motivo per cui possiamo aspettarci altre creazioni non solo in tessuto, ma anche in celluloide.
[1] Maria Grazia Chiuri da un intervista rilasciata al programma radiofonico Hollywood Party, su RadioTre in data 18/02/2021
Foto: dal video Le Chateau du Tarot di Matteo Garrone