ALUMNI GLOBAL TALK: LA RETE CHE VORREMMO

La digitalizzazione è un fenomeno inarrestabile in atto da tempo che sta rinnovando e rivoluzionando qualsiasi campo: se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è che questa trasformazione è ineluttabile.

È stato questo il focus del primo ciclo di incontri La rete che vorremo di mercoledì 10 febbraio – moderato da Daniele Bellasio, giornalista e direttore della comunicazione in Università Cattolica – in cui, figure esperte del settore tra cui il professore di Diritto dell’Informazione in Cattolica Ruben Razzante, il presidente RAI Marcello Foa, passando da Mariangela Marseglia, la Country Manager Italia e Spagna di Amazon e Simona Panseri, Senior Director Corporate Communications and Public Affairs di Google hanno analizzato diversi aspetti della digitalizzazione. 

La rete ormai è di tutti, questo è chiaro. Nonostante ciò, il cambiamento digitale è avvenuto (e avviene tutt’ora) così repentinamente che spesso ci ha colto impreparati e la pandemia ha sottolineato maggiormente quest’inadeguatezza. Ad esempio, per molte imprese (specie le PMI, di cui l’Italia pullula) l’utilizzo dei canali online è stata l’unica soluzione di fronte all’improvvisa chiusura del lockdown: eppure, come ci fa sapere Mariangela Marseglia, su 150.000 PMI italiane solo 15.000 sono su Amazon, l’hub dell’e-commerce per eccellenza, che permette alle nostre imprese di raggiungere clienti senza confini territoriali.

Continuando sulla scia delle lacune digitali, molti cittadini si sono visti in difficoltà, immersi volenti o nolenti in una rete di cui non sempre hanno avuto gli strumenti adatti per barcamenarsi al suo interno. Questo fenomeno è emblematico dal punto di vista dell’informazione online: per utilizzare le parole del Professore Razzante, molti erano a digiuno di digitalizzazione ed improvvisamente si sono trovati di fronte ad un’overdose di messaggi

Sicuramente le piattaforme hanno un ruolo imprescindibile nel regolare il flusso informativo e garantirne la veridicità e infatti Simona Panseri, portavoce di Google, ci informa sui princìpi cardine adottati, specie in quest’ultimo anno: la lotta contro la disinformazione e le pubblicità ingannevoli per garantire una maggiore sicurezza e privacy dei surfisti del Net: basti pensare che da febbraio sono state rimosse oltre 800.000 info pericolose sul Covid e nel terzo trimestre del 2020 sono stati 7,8 i video eliminati da Youtube, il 40% dei quali ancora prima di essere visualizzati dagli utenti. In quest’ottica, solo alle istituzioni sanitarie è stato consentito fare pubblicità sui temi pertinenti il Coronavirus, così come le app del Play Store relative al Covid sono potute nascere solamente se supportate dalle autorità sanitarie; o ancora, ricordiamo i pannelli informativi che rimandano alle informazioni ufficiali, su Google come su altre piattaforme. 

Tuttavia, questo non basta. Serve un’autoregolamentazione da parte degli utenti, perché la quantità dei dati che vengono immessi è ingente.

Se vogliamo procedere verso un’umanizzazione della rete due sono gli elementi oggi quanto mai necessari: l’autodisciplina degli users, per un uso consapevole della rete, e una cultura digitale, che non può né deve smettere di evolversi costantemente. Quella che il professor Razzante definisce “webcrazia” non dev’essere un problema ma un’opportunità.

Mariangela Marseglia ha detto nell’incontro che “Rete e tecnologia non vanno subìti, ma agiti: in tal caso diventano uno strumento straordinario, ma serve la cultura digitale adatta“.

La domanda sorge spontanea: il sistema tecnologico italiano è capace di reggere questa digitalizzazione?

Guardando i dati, sembrerebbe di no: il DESI (Digital Economy and Society Index) del 2020 mostrava l’Italia al 25esimo posto su 28 Stati membri dell’UE. 

Come fa notare Simona Panseri bisogna superare la concezione ormai obsoleta del digitale come settore e comprendere che la trasformazione digitale è in realtà un intero processo culturale. È necessario cambiare il modo in cu si opera per poter cogliere le opportunità che si presentano. È quello che ha fatto la RAI attuando quello che il presidente della stessa, Marcello Foa, definisce abbraccio competitivo tra media tradizionali e la rete: la RAI ha colmato la sua lacuna digitale puntando su Rai Play che, già dal 2019 ma poi specialmente con la pandemia, ha riscosso un tale successo che le ha permesso di competere con gli altri player. Rai Play non ha sostituito il medium della televisione, bensì coopera con esso in quanto ha colto quel cambiamento di gusti e abitudini del pubblico italiano, e solo con l’aiuto della rete si è potuto soddisfare certi bisogni. Il Presidente Foa ne è certo: nella RAI del futuro il digitale avrà un ruolo sempre più importante e comporterà nuove sfide. 

Ed è a queste nuove sfide che si rivolge anche Amazon: nel pieno della crisi climatica il digitale dev’essere sostenibile. Per questo motivo ha firmato il Climate Pledge, un accordo con Global Optimism, che mira a raggiungere i risultati dell’Accordo di Parigi con 10 anni di anticipo (entro il 2040). In più ha creato un fondo per finanziare quei progetti innovativi contro la riduzione dell’impatto ambientale.

In conclusione, ci dice il Professore Razzante, è doveroso e quanto mai necessario rilanciare l’ideale dell’umanesimo digitale, che si incentra sull’equilibrio virtuoso tra libertà e responsabilità: costruire quest’equilibrio perennemente precario è la sfida che tutti devono cogliere: una sfida, per riprendere il titolo del libro del Professore Razzante al servizio dei cittadini e delle imprese dopo il Covid19. 

Sara Luca