CALL ME BY YOUR PRONOUN: COMUNITÀ TRANS IN ITALIA E IMPORTANZA DEI PRONOMI IN BIO

Viviamo in un Paese complesso, a tratti incoerente: lo stesso che resta tra i pochi a non avere ancora una legge a tutela della comunità LGBTQ+ (Il ddl Zan, la proposta di legge contro l’omotransfobia, approvata a luglio dalla Camera, dovrà infatti essere ridiscussa proprio a ottobre), ma intanto stabilisce la gratuità della terapia ormonale per tutti coloro che vogliono cambiare il loro sesso biologico. Una bella notizia in questo 2020!

Mentre all’inizio di ottobre in Belgio veniva nominata la prima vicepremier trans, Petra De Sutter, in Italia è passata tristemente alla cronaca la vicenda di Ciro e Maria Paola, i due innamorati brutalmente separati dall’omicidio di lei da parte del fratello, che le ha tolto la vita perché non poteva accettare che fosse lesbica. I giornali a quel punto non hanno perso occasione per il misgendering di Ciro, riferendosi a lui al femminile solo perché trans e perpetrando una sofferenza ulteriore.

Il retaggio transfobico nel nostro paese non è un segreto (alimentato poi da certe polemiche politiche), ma è nata negli ultimi mesi una sensibilità che ha acceso un dibattito necessario: quello sui pronomi in bio, che le comunità trans e non binary utilizzano da sempre per identificarsi. Avete presente quei she/her, he/him, they/them che a volte si possono leggere nelle biografie social? Presto potremmo vederli di più.

Il focus si è spostato proprio sulla maggioranza cisgender (le persone che si riconoscono nel sesso biologico di nascita), che è stata chiamata in causa per prendere le parti della comunità trans e non binaria (le persone che non riconoscono l’esistenza esclusiva delle due identità di genere maschile e femminile e si identificano con pronomi neutri come they/them, “loro” in italiano).

Perché tutti dovremmo avere i pronomi in bio? Questa semplice azione crea un safe environment per le minoranze, che sono libere di condividere i loro pronomi in un contesto in cui farlo diventa normalizzato. È fondamentale rispettare l’identificazione di ciascuno e utilizzare aggettivi e nomi neutri (l*i, bellissimx/*) quando la persona con cui parliamo indica la sua preferenza: ricordiamo che evitare il misgendering è uno dei presupposti per sostenere la libertà di chiunque di manifestare sé stesso come desidera.

Su Twitter, in particolare, un grande passo è stata la segnalazione a Fedez, che ha inserito nella sua bio i fatidici pronomi, aprendo la strada a moltissime altre celebrità e persone comuni che lo hanno seguito. Nell’aria vibra la sensazione che presto i brand inizieranno a fare più attenzione a questi temi, ad una profondità che speriamo vada oltre la mossa di marketing come il classico cambio logo sui social durante il pride month.

In un Paese in cui essere trans o queer, gay, lesbica, bisessuale, asessuale è ancora tutt’altro che vicino all’essere capito, figuriamoci accettato, non resta che augurarsi che il ddl Zan, insieme a queste accortezze, aprano la strada all’informazione e alla tutela di una comunità che nel 2020 ha ancora più che mai bisogno di essere riconosciuta e protetta.

#transrightsarehumanrights

Giulia Lo Surdo