Come il mondo del teatro e degli spettacoli dal vivo sta affrontando questa situazione di grave crisi? Abbiamo avuto il piacere di parlarne con la professoressa Roberta Carpani, docente di Riti, miti e simboli delle organizzazioni.
Siamo a conoscenza che uno dei settori in grave difficoltà in questa situazione è quello degli spettacoli dal vivo, inclusi quelli teatrali. Quali sono le ripercussioni in questo settore?
Le ripercussioni sono terrificanti. Il teatro, insieme a tutto lo spettacolo dal vivo, patisce questa situazione perché è un mondo fatto di incontri e condivisione di un’esperienza. A teatro ci si incontra fisicamente e questo ora è impossibile.
I danni riguardano soggetti diversi: i teatri, i lavoratori dello spettacolo – non facendo riferimento solo agli attori o ai tecnici di scena, ma anche agli organizzatori, ai costumisti, agli scenografi ecc. – e gli spettatori. Mi sembra giusto citare questo ultimo soggetto pensando alla totale mancanza di un’esperienza che è importante per tante persone. Infatti l’esperienza teatrale nel suo complesso è molteplice: non si parla solo di spettatori abbonati ai teatri, ma anche di bambini che vedono gli spettacoli a scuola, di spettatori e attori che fanno teatro sociale. Purtroppo tutto questo ambito è bloccato perché richiede vicinanza delle persone.
La priorità è ora l’emergenza sanitaria, ma è evidente che tutte le arti sono state indispensabili, anche in questa fase, per elaborare il pensiero comune, per sostenere la resistenza personale, per alleggerire la fatica psichica, per alimentare l’esistenza individuale e comunitaria. A questo punto è necessario che lo Stato intervenga: l’industria culturale, di cui il teatro è una parte, è un segmento importante dell’economia italiana che produce reddito e dà lavoro. È anche un’industria ricca di prodotti di esportazione, come l’opera lirica o anche molti spettacoli di prosa, che vanno tutelati perché hanno dimensione economica di maggiore fragilità rispetto ad altre industrie.
In questi mesi il settore teatrale ha cercato di reiventarsi, proponendo i propri spettacoli su piattaforme diverse, dalla televisione tradizionale ai social. Cosa ne pensa a riguardo? Potrebbe essere un modo per avvicinare molte persone al mondo teatro?
In questi mesi ci sono state diverse idee, come quella di un “Netflix della cultura”, proposta dal Ministro dei Beni Culturali. Franceschini parlava di una piattaforma italiana che offrisse cultura a pagamento. La sua ipotesi può avere degli elementi di positività, vista la crescita dei consumi televisivi, e ipotizzava anche la prosecuzione del progetto dopo la pandemia.
A mio parere l’ipotesi di fare spettacoli teatrali ad hoc per la TV può essere parzialmente percorribile, ma ci sono dei limiti: innanzitutto il teatro in video è radicalmente diverso dall’esperienza teatrale e non può essere equiparato ad essa. Dall’altro lato c’è il limite dei costi: forse sarebbe meglio continuare a ripresentare in televisione vecchie produzioni per limitare gli investimenti e dirottarli a sostegno degli artisti e dei teatri.
Il teatro sui social ha un altro significato: credo sia stato importante lo sforzo di molti teatranti di mettere a disposizione registrazioni dei loro spettacoli. È un’attività che ha una funzione prevalentemente fàtica, ovvero di mantenimento del contatto con lo spettatore e magari anche di avvicinamento dei giovani al teatro.
Quindi, è vero che il teatro in TV e sui social potrebbe avere un significato in questo momento perché permette alle persone di usufruire di altre forme di intrattenimento. Però riguarda solamente questo momento: quando si uscirà dalla pandemia il teatro dovrà tornare a essere fatto nei teatri, negli spazi urbani chiusi e aperti, nelle piazze, nelle scuole, nei parchi, nei luoghi delle comunità.
Secondo lei l’esperienza del teatro potrebbe avere un ruolo sociale per aiutarci a superare la crisi?
Sicuramente. Una delle conseguenze della pandemia che stiamo cominciando a patire – parlando in particolar modo delle persone a cui non è successa una tragedia – è la sensazione di una morte sociale. Ci manca tutto ciò che è proprio dell’essere umano, ovvero la vita di relazione. Per tutti è molto più presente l’idea della morte: c’è la solitudine, la reclusione, l’impossibilità o la difficoltà di esprimere emozioni e sentimenti. Tutto ciò comporterà gravi ferite da sanare all’interno della società.
Per questo, dopo la pandemia, sarà estremamente utile il lavoro con il teatro di comunità per ricostruire gradatamente il senso di socialità e di appartenenza. È importante avere un atteggiamento proattivo con cui possiamo affrontare la situazione.
Si tratterà anche di ricostruire le comunità di spettatori: questa è una delle attività su cui i teatri devono puntare e su cui si stanno già interrogando.
Credits immagine: profilo Facebook di Davide Enia, attore e narratore teatrale.
“Quello che sarà il mondo della cultura, in una foto. La foto è di mio papà Francesco ed è al tempo stesso un posto di ieri, dopo un terremoto, e quello che ci aspetta domani, se non si interviene oggi con urgenza.”
