NON È TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA (SU INSTAGRAM): IL CASO DEL FYRE FESTIVAL

Prendi un’isola nelle Bahamas, con acqua cristallina e un panorama da sogno. Aggiungi ville paradisiache, yacht lussuosi e musica sotto le stelle, con performance live degli artisti più hot del momento. Il Fyre Festival si presentava così. In realtà si è trattato della più grande truffa mediatica degli ultimi tempi.

Partiamo dall’inizio: Billy McFarland, giovane imprenditore del New Jersey, crea Fyre, un’app musicale che permette di prenotare artisti per eventi di ogni genere. Per celebrare il lancio della piattaforma decide di organizzare un festival esclusivo che si terrà nell’incantevole cornice di Great Exuma, un’isola nelle Bahamas ribattezzata Fyre Cay per l’occasione.

Billy si mette in società con il rapper Ja Rule, e insieme iniziano a pensare all’organizzazione dell’evento. L’idea è quella di puntare ai giovani americani più abbienti, offrendo loro un’esperienza completa, composta da pacchetti aerei con alloggio extra-lusso. I fortunati partecipanti avranno quindi a disposizione splendide ville sulla spiaggia, resort creati per l’occasione o tende glamping dotate di tutti i comfort.

Il luogo scelto per l’occasione non è attrezzato per poter ospitare un evento del genere, ma i due soci non si preoccupano: in pochi mesi riusciranno a preparare tutto al meglio.

Ovviamente, la messa in sicurezza e la ristrutturazione del luogo fanno da subito lievitare i costi, ma i due hanno pensato anche a questo: hanno raccolto ingenti somme da investimenti, e in ogni caso rientreranno nel budget con la vendita dei biglietti. E infatti, il prezzo per partecipare a questo evento esclusivo partiva dai 500 ai 1500 dollari per il pacchetto base, mentre arrivava a 12.000 per il pacchetto VIP.

Un evento del genere necessita di una promozione esclusiva: Billy e Ja Rule decidono quindi di reclutare le modelle più in voga del momento, gli angeli di Victoria’s Secret. Le it-girls vengono quindi portate sull’isola per girare un video promozionale, pubblicato simultaneamente su tutti i loro profili Instagram. Viene anche costruita una storia ad hoc, secondo cui Fyre Cay sarebbe un’isola privata appartenuta a Pablo Escobar, signore della droga. La campagna è un successo: il sito esplode, i biglietti vanno a ruba. I due soci ne sono certi, questo festival sarà un gran successo.

Se la campagna social si rivela da subito vincente, non si può dire lo stesso del resto. Pare infatti che Mc Farland non avesse la minima idea di come procedere. Pianificazione, preparazione, gestione del catering, costruzione di alloggi e sicurezza, senza parlare del budget – tutto sembra sfuggirgli di mano, ma non si fa abbattere. Anzi, promette alti guadagni agli investitori: per guadagnarsi la loro fiducia inventa una valutazione fittizia della sua compagnia per 90 milioni di dollari.

I lavori procedono a rilento, sul campo inizia a diffondersi la convinzione che Billy non ce la farà, e che si tratti di una gigantesca truffa. Manca ormai un mese all’evento: per correre ai ripari viene chiamato un organizzatore di eventi conosciutissimo nel campo, che consiglia a Billy di posticipare il festival da aprile a novembre per riuscire ad arginare i danni. Il giovane imprenditore risponde che si farà carico della stesura di un comunicato stampa di annullamento, ma non lo fa. 

Aprile 2017: migliaia di persone arrivano a Fyre Cay per assistere a quello che doveva essere il festival dell’anno. Al posto di ville lussuose, tende di design e catering stellato, trovano ad attenderli delle tende da campeggio con materassi bagnati e un panino al formaggio.

Niente ville, artisti famosi, o yacht, e nemmeno le celebrities che tanto avevano promosso l’evento sui social. Da subito scatta il panico, e i ricchi millennials iniziano a denunciare il drammatico scenario che si para di fronte ai loro occhi con la stessa arma usata da Billy per promuovere l’evento: i social.

Su Twitter l’hashtag #Fyrefraud entra rapidamente in tendenza. Qui vengono riportati gli enormi disagi che i partecipanti devono affrontare, compresa la mancanza di acqua ed energia elettrica, i furti, ma soprattutto l’assenza di spiegazioni da parte dello staff.

Una volta tornati a casa, i partecipanti truffati organizzano una class action per condannare gli organizzatori del festival. Qui scoprono di non essere i soli: gli abitanti dell’isola, sfruttati per riqualificare la zona, non sono mai stati pagati. Senza contare gli investitori che hanno concesso milioni di dollari, finiti in uffici lussuosi a New York piuttosto che nella reale predisposizione dell’evento. 

Alla fine, nel 2018 Billy McFarland è stato condannato a scontare 6 anni in carcere, a seguito delle molteplici accuse di truffa aggravata, frode informatica e bancarotta fraudolenta. Il suo nome sarà per sempre ricordato al caso del Fyre Festival a causa di due documentari che ne raccontano la vicenda, e che hanno avuto un successo planetario. Il caso del Fyre Festival ci dimostra, ancora una volta, che non è tutto oro quel che luccica. Almeno su Instagram.

Lucrezia Mozzanica