Sembrerebbe una provocazione e invece è uno tra gli ultimi progetti pensato da Google e sviluppato da Android che ha l’obiettivo di ridurre, o quantomeno migliorare, la qualità del tempo che passiamo davanti ai nostri devices.
Esattamente così: dopo un ventennio in cui i giganti della Silicon Valley (e non solo) hanno bombardato la popolazione mondiale con lanci continui e pianificati nei minimi dettagli, provocando corse all’ultimo modello hi-tech, la tendenza sembra essere stata invertita.
Infatti, a partire dall’estate del 2018, Google ha lanciato il suo progetto Digital Wellbeing, con l’obiettivo di riequilibrare l’uso che gli utenti fanno delle tecnologie, in modo che questo sia conscio e voluto, piuttosto che un riflesso involontario. Questo programma prevede una serie di app o impostazioni scaricabili sui dispositivi Android che permetterebbero di gestire meglio il tempo “tecnologico”, che scorre via senza che gli utenti se ne rendano davvero conto.
Tra le funzioni, che hanno nel mirino aspetti core business dei mobile phones, vi sono: il conteggio delle volte in cui si sblocca il cellulare (visibile sullo screensaver come se fosse un orologio), il silenziamento dello stesso quando si è in gruppo per avere del quality time, la possibilità di non ricevere notifiche per un lasso di tempo o di impostare la ricezione delle prioritarie; addirittura è possibile estrarre il contenuto essenziale dello smartphone, come contatti, appuntamenti e avvisi, così da rendere il tutto stampabile su un foglio A4 e poter lasciare il cellulare a casa.
Sembrerebbe un progetto dai nobili intenti che, nonostante l’aura di novità di cui è stato circondato, si allinea a delle funzioni già implementate dalla Apple come la modalità “Non disturbare”, introdotta nell’ormai lontano 2012. Al di là di campanilismi tecnologici, non si può che domandarsi se questi colossi abbiano realmente a cuore gli interessi psicosociali dei propri utenti o se sia un’ulteriore leva per rafforzare la presa su questi ultimi.
Diventa lecito pensarlo, o quanto meno porsi il problema, se si analizzano attentamente le varie proposte del programma. Ad esempio, assodato che sarebbe utopistico proporre escludere lo smartphone dalla vita delle persone, un peso diverso hanno gli assistenti vocali e gli smart speaker, introdotti da un lasso relativamente breve di tempo: anche per questi è stato sviluppato il programma di Digital Wellbeing, sebbene questo servizio sia un elemento assolutamente accessorio e non un must-have del momento.
Tuttavia, non sembra neanche corretto incriminare i produttori che, per ovvi motivi, curano i loro interessi. Infatti, non si può ignorare il ruolo che gli utenti giocano in questa partita, ormai addicted agli smartphone e compiaciuti dalla presenza di assistenti virtuali e supporti per qualsiasi tipo di attività. Di conseguenza, ulteriori app che dettino le azioni da compiere, senza lasciare spazio alla presa di coscienza della “dipendenza”, non possono essere la soluzione al problema!
Anna Angona