Che cos’hanno in comune il duro cinismo di House of Cards, le sceneggiature piacevolmente soap di Ryan Murphy, l’estetica frizzante dei film di Wes Anderson e i drammi senza censure delle nuove teen series (Shameless, The End of the F***ing World o Sex Education)? Nulla. Almeno fino a quando il ricco rampollo Payton Hobart (Ben Platt) – tutto proteso verso la «corsia a senso unico» che lo condurrà alla presidenza degli Stati Uniti – non è sbarcato nella library di Netflix con la dark comedy di cui è protagonista: The Politician. A quel punto il “nulla” è diventato “troppo”.
Payton si definisce nato nella povertà – come furono prima di lui Reagan, Clinton e Obama – e al contempo di nobili natali – come la famiglia Bush – perché adottato della dolce filantropa Georgina Hobart (Gwyneth Paltrow), moglie di un anziano magnate miliardario. E proprio come alcuni celebri presidenti, per guadagnarsi la tanto ambita poltrona dello Studio Ovale, prima di divenire leader del mondo libero, deve esserlo del corpo studentesco della sua scuola.
In aiuto intervengono tre strateghi di fiducia (tra cui la sua futura first lady) che infrangono i cliché adolescenziali preferendo occuparsi di sondaggi e immagine pubblica del front man liceale piuttosto che di compiti in classe o balli di fine anno.
Sulla strada di Payton si incontrano figure ambivalenti: dal bello e popolare concorrente in gara River Barkley (David Corenswet) e alla di lui ragazza (Lucy Boynton) – che scelgono come vice «la prima afroamericana omosessuale» del liceo (Rahne Jones) – alla malata di cancro Infinity Jackson (Zoey Deutch, dall’interpretazione fenomenale), selezionata per conquistare i “voti delle minoranze” e con un rapporto sospetto con la nonna (Jessica Lange); fino ad arrivare agli stupidi fratellastri che non vogliono condividere l’eredità di papà. Tutti accomunati da un unico fattore: l’essere fuori dagli schemi, out of the box in ogni loro possibile caratteristica. A partire dal fatto che – in questo mondo colorato ma spietato – nessuno sembra avere una sessualità binaria né troppe remore a violare norme di legge o di correttezza politica.
“Troppo di tutto” in sintesi, ma chi è abituato allo stile di Murphy sa che questa è la norma. Infatti, The Politician è in realtà un prodotto tanto lineare (per molti forse un guilty pleasure), quanto funzionale nella sua semplicità. Prendete una trama ricca di plot twist, due dee di Hollywood come la Paltrow e la Lange, una colonna sonora pop, ma ricercata, un paio di scene “profonde” per episodio e il piatto è pronto per essere servito. Non fatevi ingannare però: dietro questa patina da telenovela un po’ melensa si nasconde un piccolo capolavoro di stile, che sa spaziare da studiate inquadrature simmetriche a una fotografia dalle tonalità cromatiche molto accese. Che lo amiate o lo odiate, sicuramente The Politician vi colpirà.
Nota finale: se siete appassionati di sigle televisive, indipendentemente dal vostro giudizio su The Politician, dovete sicuramente annoverare questa splendida composizione artistica – con scompartimenti lignei e oggettistica kitsch, sulle note di Chicago di Sufjan Stevens – tra gli opening credits meglio realizzati nella storia del piccolo schermo.