“Questo per me non è uno spettacolo” dice Lucia Sardo al pubblico del Teatro Libero di Milano dopo aver accettato i lunghi applausi per la sua performance ne La Madre Dei Ragazzi.
In effetti approcciarsi a un’operazione di racconto e di coinvolgimento emotivo come quella intrapresa dall’attrice siciliana etichettandola come semplice pièce teatrale sarebbe riduttivo e quasi inappropriato: pur essendo presente una componente di narrazione classica, l’ambizione di questa sua ultima rappresentazione teatrale rimane più ampia, importante e coraggiosa.
La figura attorno a cui ruota l’intera performance è quella di Felicia Impastato (ruolo che l’attrice aveva portato 18 anni fa sullo schermo nel film I Cento Passi), madre di Peppino Impastato, giornalista e attivista siciliano ucciso nel 1978 dalla mafia di Cinisi, suo paese d’origine: una personalità e un carattere, quelli oramai mitizzati di Peppino, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella ricognizione storico-culturale da parte dello Stato italiano della piaga della criminalità organizzata.
Si parla di violenza, di morte e di criminalità, ma anche di dolore e di lutto: laddove le vicende di Peppino sono state prevalentemente raccontate da una prospettiva prettamente maschile, Lucia Sardo focalizza la propria rappresentazione su di una figura femminile lungi dall’essere distaccata dalla propria storia familiare: quella della Sardo è quindi un’occasione per ridare luce e importanza a un personaggio che non vuole e non deve essere dimenticato, sia nel suo essere partecipe e attiva politicamente che nel mostrarsi semplicemente in quanto essere umano.
È un’esperienza, quella di La Madre Dei Ragazzi, lontana dalle meccaniche strutturali della prosa teatrale. Lucia Sardo si muove sul palco, usa i movimenti del proprio corpo e la gestualità in maniera estremamente coinvolta e partecipe, quasi ritualistica. Apre la performance con un rito di purificazione dai fiumi neri di violenza e negatività a cui siamo sottoposti tutti i giorni, per poi gettarsi su una sorta di monologo emotivo-simbolico che porta sul palco il quasi-martirio di Felicia in tutto il suo solenne dolore (la Sardo veste ad un certo punto i panni di una Vergine Addolorata).
Segue poi un momento di racconto in cui l’attrice narra del proprio incontro con Felicia Impastato per poi concludere la rappresentazione con una sorta di rendiconto della vicenda di Peppino e di Felicia. Quello della Sardo è insomma un vero e proprio non-spettacolo dalle tante anime che, con la sua struttura libera e coinvolgente, riesce nell’intento di approcciare un tema e una vicenda delicati sia da un punto di vista realistico-politico, con il suo voler rendere conto degli avvenimenti in maniera limpida e giornalistica, sia nei suoi risvolti più umani e sentimentali, trasformandosi a tratti quasi in performance art.
Se ne esce commossi e partecipi, consapevoli di aver preso parte a qualcosa di più di una semplice rappresentazione teatrale e di essere al contempo divenuti una parte del meccanismo attraverso cui una figura bella e importante come quella di Felicia potrà essere ricordata in futuro nella sua più umana totalità, in quanto donna e, soprattutto, in quanto madre.
Giacomo Placucci