A QUIET PLACE: La rivincita del B movie

La critica d’oltreoceano e il folto gruppo di aficionados ne sono assolutamente convinti: siamo ufficialmente entrati in una nuova “golden age” del genere horror. Da qualche anno a questa parte il cinema dell’orrore è stato infatti protagonista di una sorprendente parabola ascendente in relazione sia al numero di biglietti venduti che al consenso dei conoscitori più severi. Nonostante qualche difficoltà nel trovare un compromesso tra il gusto raffinato della critica e quello nazionalpopolare del pubblico mainstream, a discapito di pellicole di stampo autoriale quali Babadook, It Follows e The Witch, il cinema horror sembra aver riacquistato una posizione privilegiata tra le platee cinematografiche di tutto il mondo: le quattro nomination ottenute da Get Out agli Oscar di quest’anno e l’enorme successo della trasposizione cinematografica di It, opera magna di Stephen King, rappresentano gli esempi più lampanti di questa nuova tendenza. In un simile panorama non sorprende affatto il grande successo di A Quiet Place, terza prova alla regia dell’attore americano John Krasinski, che negli Stati Uniti è stato accolto molto positivamente sia dalla critica (95 % su Rotten Tomatoes) che dal pubblico in sala.

Forte di una direzione innegabilmente accattivante, Krasinski riprende gli stilemi del cinema di genere classico e dona nuova linfa all’ormai abusatissimo filone post-apocalittico grazie a una trovata a dir poco singolare: l’invasione, che ha devastato la Terra, condotta da parte di una razza aliena priva di vista ma particolarmente sensibile al suono, costringe i pochi sopravvissuti a vivere nel silenzio più totale.
La famiglia di cui seguiamo l’epopea, capitanata da Krasinski stesso e da Emily Blunt (che di Krasinski è moglie anche fuori dallo schermo) nel ruolo di due genitori in attesa della nascita di un nuovo figlio, percorre dunque sentieri prestabiliti, coperti di sabbia per attutire il suono dei passi, e comunica tramite il linguaggio dei segni per evitare che, attraverso il minimo rumore, le creature li possano trovare.

Svelare i dettagli dell’intreccio detrarrebbe inevitabilmente dall’esperienza in sala di una pellicola ad altissima tensione, diretta sapientemente e con eleganza, che non rinuncia però all’immediatezza del cinema americano più commerciale. Se al film si possono certamente rimproverare l’utilizzo smodato di ‘jumpscares’ (i cosiddetti “salti sulla poltrona”) per spaventare il pubblico e il ricorso ad una colonna sonora d’accompagnamento poco utile ai fini della narrazione (portare all’estremo l’elemento del silenzio avrebbe senza dubbio reso la presentazione ancora più d’impatto), la combinazione dello spirito orgogliosamente “di serie b”, come è stato definito da alcuni critici in riferimento ai cosiddetti “B movies” horror-fantascientifici degli anni’50, e dell’acume registico di Krasinski, assieme con l’accurata analisi delle dinamiche familiari in atto, non può che entusiasmare ed appassionare.

Il film di Krasinski ridona dunque dignità ad un genere cinematografico ormai in declino, quello del monster-movie, grazie ad una regia inventiva ed acuta che non dimentica l’approfondimento caratteriale dei personaggi attorno a cui ruota. Cinema d’intrattenimento imperfetto ma dal meccanismo perfetto.

“A Quiet Place” ha forse come più grande pregio quello di riportare nella sala cinematografica l’elemento che in questi tempi di grande comunicazione, digitale e non, sembra essere scomparso: il silenzio.

Giacomo Placucci