Giornalmente ognuno di noi si relazione alla tecnologia in svariati modi, scegliendo di inviare un’immagine, scrivendo uno stato sul proprio profilo social oppure scaricando semplicemente un’applicazione dal proprio store.
Sono molti i gesti che spesso inconsapevolmente lasciano traccia di noi, dei nostri dati sensibili e di molto altro nel mondo virtuale.
Un mondo nuovo e sconosciuto ai tanti che spesso si relazionano a questo inconsapevolmente. Non facciamo riferimento solo al target old, ai genitori dei nativi digitali, ma anche a chi in questo mondo dell’online è nato e cresciuto.
I nostri smartphone posseggono un’infinita quantità di informazioni che spesso vengono ignorate o prese poco in considerazione, ma è cosa buona e giusta informarsi su ciò che consegnamo gratuitamente al mondo online. Alcuni piccoli gesti aiutano a proteggere la nostra immagine, la nostra stessa vita da un’esposizione mediatica
Ma cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire avere a disposizione un patrimonio infinito di informazioni, un database costantemente aggiornato sulle abitudini di milioni di persone. E il rischio è che queste possono addirittura essere vendute. A fini commerciali oppure a particolari enti che lo richiedono. Tutto parte dalla semplice e apparentemente banale location history. Rappresenta questa una funzione che deve necessariamente essere attivata dall’utente e che, in alcuni casi, riesce a rilevare ulteriori dati attraverso varie applicazioni collegate. Si pensi a Google Maps o addirittura a Photos.
In merito, ovviamente, sono stati fatti test e ricerche specifiche. Punto primo per saperne di più, punto secondo per avere delle certezze prima di alzare inutili e allarmanti polveroni. Dai test, però, è emerso che i server Google ricevono informazioni in merito al possibile movimento che stai facendo, l’eventuale connessione ad una rete wi – fi, l’indirizzo MAC della rete a cui si è connessi e quello delle reti più vicine. Ancora, il livello di carica della tua batteria, le coordinate Gps e, probabilmente, altro ancora da definire con maggiore certezza.
E allora cosa e come fare? Esiste una possibilità di scelta? La risposta giunge direttamente da Google e dice che, ovviamente, l’utente può scegliere di attivare liberamente queste funzioni. Poi ci tiene anche a sottolineare che le varie informazioni rilevate servono solo a suggerire news utili all’utente. Ma quello che non viene specificato, ovviamente e per nostra sfortuna, è che tutto ciò, troppo spesso, viene anche rilevato in modo inconsapevole da altre e differenti applicazioni.
Anche la semplice localizzazione inserita con Google Photos, attiva la location history e permette l’accesso ai propri dati da parte di altre app. Stessa identica cosa si verifica con Google Maps, che chiede all’utente di attivare la propria localizzazione per indicargli la strada da percorrere per raggiungere la sua meta, ma facendo questo riesce ad accedere ai dati inerenti al suo allenamento fisico e di quando questo ricarichi la batteria dello smartphone. Ancora, tutto ciò accade anche quando si utilizza l’app base di Google o Google Assistant.
Per di più, nessuno, o veramente in pochissimi, sa che gli utenti possono accedere ad alcune delle informazioni che Google raccoglie consultando la timeline di Google Maps. Per i più riservati o timorosi di lasciar scoprire ogni proprio movimento, c’è la possibilità di disattivare completamente la Location History.
Francesca Galeone