Questa sera su Sky Atlantic finale di stagione dell’ultima opera del regista Paolo Sorrentino. La serie tv ha diviso la critica, quello che è certo è il successo di pubblico.
Presentato in anteprima lo scorso settembre al Festival del Cinema di Venezia, The Young Pope è stato un progetto molto atteso. In onda dal 21 ottobre su Sky Atlantic e firmata da Paolo Sorrentino per Hbo, Sky e Canal+ , la serie TV si configura come una produzione prestigiosa che vede congiunti gli sforzi dei citati colossi dell’intrattenimento via cavo. Venduta prima ancora del suo debutto in oltre ottanta paesi, è stata in grado di ripetere il successo di serie cult su Sky come Game Of Thrones. Le recensioni dei primi episodi tuttavia hanno parlato, da una parte, di una «rivoluzione copernicana nell’ambito delle serie TV», mentre, dall’altra – soprattutto sul versante dell’informazione cattolica–, la serie è stata giudicata irritante e a volte blasfema. A ben vedere, come si dirà più avanti, la critica alla Chiesa e al suo sistema di governo non risulta obiettivo centrale, pur essendo in ogni caso presente.
The Young Pope narra le vicende di Lenny Belardo, un cardinale americano orfano e quasi cinquantenne eletto papa sotto la spinta del Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Angelo Voiello (Silvio Orlando), che vi ha visto un uomo facilmente manovrabile. Salito al soglio pontificio con il nome di Pio XIII, si dimostra tuttavia una persona controversa e poco incline a farsi comandare, intransigente e irritabile. Il suo volto è quello del pluripremiato Jude Law. L’attore incarna un papa antico e attuale allo stesso tempo: antico nel farsi interprete di una Chiesa vendicativa, attuale perché riassume i difetti – e il fascino – della giovinezza. Allo spettatore tocca svincolarsi dagli schemi noti: siamo di fronte a un pontefice che con il suo comportamento fa quasi pensare a un Millenial. Si può dire che l’immagine che traspare punti all’abbattimento di ogni cliché ecclesiastico e papista (è emblematica la scena finale della sigla, in cui Lenny colpisce la statua dell’ex pontefice Giovanni Paolo II). Seppur caratterizzato da grandi sensibilità e magnanimità, e pronto a combattere, a modo suo, corruzione e ingiustizia, Pio XIII non è un eroe, ha dubbi, paure e problematiche personali irrisolte. «Io non sono nessuno, solo Cristo esiste», da questa sua ferma volontà di non mostrarsi in pubblico, deriva al contrario la costruzione di un’immagine iconica, odiata e amata allo stesso tempo, temuta e venerata, costantemente inseguita dai media. Si capisce così la scelta, nel secondo episodio, di proferire il suo primo discorso alla folla di fedeli in piazza San Pietro con luci che ne lascino intravedere soltanto la silhouette oscurandone il volto. La scena è molto efficace e chiarisce il progetto estetico-filosofico di Sorrentino, che nella figura del Papa cerca una coincidentia oppositorum tra bianco e nero, interno e esterno, visibile e invisibile. In questo senso The Young Pope è chiaro e spietato nella sua riflessone sulla rappresentabilità e la credibilità del potere, nelle sue diverse incarnazioni storiche.
La firma di Paolo Sorrentino è evidente: i minuti scorrono lenti e i dettagli sono numerosi. Implausibilità, distopia e realismo magico si rivelano ingredienti del fascino della serie, e, allo stesso tempo causa di alcune perplessità. Il regista de La grande bellezza, ha riversato la cifra felliniana, ormai quasi inconfondibile, nel mondo della televisione mainstream dando spazio però a comprensibili morfologie della narrazione e tappe del viaggio dell’eroe. Questo diviene evidente anche grazie alla presenza del cardinale Voiello, antagonista di Pio XIII: affinché l’ascesa del giovane papa sia accattivante, occorre infatti che i poteri del mondo temporale ne inibiscano le libertà. A dare man forte a Lenny, è presente anche la madre putativa Suor Mary (Diane Keaton) pronta a rivestire un ruolo di supporto affine a quello di spalla del protagonista in grado di difenderlo secondo necessità. Lo stile di The Young Pope è enigmatico ma divertente. I dialoghi strappano spesso qualche sorriso: se ci sono concetto e serietà questi vanno ricercati proprio nello svuotamento progressivo di qualsiasi senso apparente. Le incursioni nella parodia sono, in ogni caso, moltissime.
Del resto, dal punto di vista tematico la serie non è una fiction religiosa e non ha particolari ambizioni teologiche. Essa intende piuttosto riflettere sul potere e in particolare sulla sua visibilità, e per un cineasta attento alla forma come Sorrentino non poteva esserci soggetto più stimolante della Chiesa, del suo governo e della figura del Papa. The Young Pope mette in scena la sfida della rappresentazione dell’invisibile e non sembra azzardato sostenere che continui il progetto estetico-critico iniziato con il film La grande bellezza. Potrebbe essere a tutti gli effetti uno spin-off, un tassello dello stesso universo narrativo sul potere, la sua vanità e sull’impossibilità, per gli uomini, di farne a meno.
Si può dunque parlare di finzione senza pretese. Come ha affermato Don Davide Milani, presidente della Fondazione dello Spettacolo e della Commissione nazionale valutazione film della Cei, basterebbe prendere la serie tv per quel che è: “Una finzione, un romanzo, forse un sogno. O un incubo”. Cosa aspettarci allora per il finale di stagione in onda questa sera? Prima di tutto guardare senza pensare di trovarvi una chiave per capire il Mistero più profondo della fede. Sorrentino ci ha ormai fatto capire che tutto si gioca su implausibilità e imprevedibilità, fonti inesauribili di suspense e sorpresa, e come tali capaci di meravigliare oppure deludere.
CIMOreporter – Anna Leggeri