GREEN BOOK: UN VIAGGIO OLTRE I PREGIUDIZI RAZZIALI 

Il razzismo è un fenomeno che da sempre contraddistingue le società. La convinzione della superiorità di una razza su un’altra, il disprezzo per gli individui che hanno un diverso colore della pelle o che praticano una religione diversa, che si vestono diversamente, mangiano diversamente o parlano lingue diverse ha caratterizzato la nostra storia, la storia dell’umanità.

Green Book, pellicola che ha vinto tre premi Oscar e tre Golden Globe, ci mostra la crudeltà del razzismo ammorbidita dal valore dell’amicizia.

New York 1962, Don Shirley è un talentuoso pianista giamaicano che deve intraprendere un tour di concerti nel sud degli Stati Uniti ancora tormentato dal segregazionismo, accompagnato dal suo autista e guardia del corpo Tony Lip Vallelonga, italo americano e figlio di immigrati dal carattere rude, arrogante e pieno di pregiudizi nei confronti delle persone di colore.

Due personalità opposte, benchè entrambi discriminati, che si conoscono piano piano e gradualmente si apprezzano, si stimano e si salvano l’uno con l’altro; Tony salva Don da alcuni pericoli terreni mentre Don salva l’anima di Tony, il quale impara ad apprezzare la buona musica, le belle parole, le buone maniere e ad abbattere i pregiudizi che gli incatenano l’anima. 

A guidarli durante il viaggio il Green Book, una guida speciale pubblicata nel 1936 e in vigore fino al 1966, che permetteva agli uomini di colore in viaggio negli Stati Uniti di trovare locali e motel adatti a loro e di conoscere invece quali erano ad esclusivo uso dei bianchi. Infatti, nel sud degli Stati Uniti, nonostante la schiavitù dei neri fosse stata abolita, vigeva ancora uno stato di segregazione razziale in cui i bianchi e i neri erano separati fisicamente in tutti gli ambiti della vita sociale, nei locali, nelle scuole, nei trasporti.

Nessuno però si chiedeva perché i neri dovessero dormire in alberghi a loro destinati, o perché dovessero mangiare solo in alcuni ristoranti riservati; era normalità, era una regola, il razzismo era “istituzionalizzato” e la prova era nell’esistenza stessa del green book che mostra l’immagine cruda, normalizzata e silenziosa del razzismo, forse la più pericolosa e radicata.

Don è un uomo di cultura, un musicista affermato che viene invitato a suonare per platee educate e raffinate ma che viene ogni volta gentilmente allontanato subito dopo l’esibizione, in quanto la regola era quella di non mescolarsi, di rimanere separati. Per lui, pur essendo un talento, non c’è spazio nel mondo dei bianchi, in quell’élite culturale piena di ipocrisia che non permette di oltrepassare alcuni limiti invalicabili, in cui non c’è spazio per nessuno oltre che per quei pochi che già ne fanno parte.

Green book ci trasmette un messaggio senza tempo. Naturalmente oggi non siamo più negli Stati Uniti degli anni ’60 e non esistono più guide turistiche che gli uomini di colore devono seguire durante i loro viaggi, eppure il mondo è ancora diviso per paese di provenienza, per orientamento sessuale o religioso e le diversità sono ancora ostiche da accettare.

Ci illudiamo di vivere in una società accogliente, aperta a tutti ma così non è. Se qualcuno non rientra negli schemi stabiliti e nei modelli ideali, viene inevitabilmente allontanato, lasciato ai margini, indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza.

Oggi più che di razzismo è giusto parlare di discriminazione che coinvolge vari aspetti della personalità di un individuo. Si tratta di una discriminazione che è intrinseca della nostra società ed è alimentata da tutti quegli stereotipi che ci portiamo dietro come un bagaglio pesante, una discriminazione che attualizza ancora oggi il “Green Book” di Don e Tony.

E noi, come loro, dovremmo cogliere l’occasione di scoprire la forza dei sentimenti e dell’accettazione, dimostrare che è possibile creare connessioni, rapporti tra persone culturalmente differenti. Solo tramite la costituzione di ponti possiamo rendere possibile l’accettazione e l’inclusività nella società.

Matilde Martini