LA GENESI DEL TERMINE PAPARAZZI

Paparazzo è una parola universale, la quale non ha bisogno di traduzioni. Questo vocabolo viene utilizzato quasi in tutti i paesi del mondo, ma come e in che ambito nasce questo termine? 

Oltre all’utilizzo comune che se ne fa, il termine è stato oggetto di alcune rappresentazioni artistiche: Neri Parenti lo utilizzò come titolo per un suo film del 1998, Lady Gaga per una canzone del 2009 e Michael Jackson, nel suo brano “Privacy”, specifica di come questa sia violata da un numero smisurato di paparazzi.

È un termine perlopiù utilizzato con accezione dispregiativa: la peggiore “razza” di giornalisti, veri e propri persecutori di star della musica e del cinema. Tuttavia, è proprio dal cinema che deriva la genesi della parola. Bisogna tornare agli anni 60’ del Novecento per parlare del regista più importante e influente del cinema italiano, Federico Fellini. Nel 1960 il regista riminese diresse e co-sceneggiò “La Dolce Vita”, prodotto cinematografico che fu di ispirazione per centinaia di registi in tutto il mondo.

In quella città eterna raccontata da Fellini, poi oggetto di digressione nel suo film “Roma” del 1972, il regista narra di episodi della vita sfarzosa e opulenta del giornalista Marcello Rubini, interpretato da un magistrale Marcello Mastroianni. Il protagonista è un privilegiato, un dongiovanni che si trova spesso ad essere preda dell’invadenza dei molti giornalisti, tra cui un giornalista/paparazzo, interpretato da Walter Santesso. L’operato di quest’ultimo disturba in modo considerevole la quiete del povero Marcello, il quale, preso dalla disperazione, si lancia in altisonanti tentativi di intimare al fotoreporter di fermarsi.

Il vivace giornalista, pur di ottenere una foto o una notizia che faccia scalpore, è disposto a tutto. Il suo obiettivo è generare rumor, quel rumor che vuole fotografare la “Dolce Vita” del protagonista Marcello, beccato continuamente in compagnia di belle donne (Maddalena interpretata da Anouk Aimée e Sylvia interpretata da Anita Ekberg).

Quella vita di lusso, di eccessi e deliri onirici che Fellini tratta in maniera incensurata nel successivo “8 e mezzo” del 1963, riesce a portare il neorealismo, movimento ancora particolarmente vivo in quegli anni grazie all’apporto di Pasolini, ad un nuova dimensione fatta di realismo poetico e iperrealismo magico (o anche definito fantarealismo). Riuscendo così a dare vita ad una specie di universo parallelo, fatto di toni fiabeschi che descrivono una classe sociale figlia del boom economico del dopoguerra.

Il termine paparazzo è quindi lo specchio di una nuova società, di un nuovo modo di vivere. La rapida diffusione del termine va ricercata nella differente situazione economica in cui versava l’Italia degli anni ‘50 e ‘60: un paese la cui crescita economica e lo sviluppo tecnologico spingevano gli artisti alla ricerca di nuovi orizzonti. È, dunque, in questo periodo che si registra un graduale distacco dal neorealismo, probabilmente dettato dalla volontà di gettarsi alle spalle gli orrori della guerra.

Pietro Mele