The future of branding is personal: così Talaya Waller decide di titolare il proprio intervento presso la Penn State University, ormai 4 anni fa, nell’evento che riproduce il format dell’infamous Ted Talk, declinato, xPSU. Per inciso, non esiste una categoria dedicata al personal branding tra le varie proposte del website TedTalk, mentre sembra essere un topic piuttosto diffuso tra gli eventi hosted dalle varie università (i.e. TEDxUAlberta, TEDxUSM, ecc.).
Nel quarto d’ora circa onstage l’autrice ha modo di raccontarsi e si definisce con fierezza una personal branding consultant, il cui obiettivo dichiarato è quello di portare alla luce le storie delle persone, implementare il loro expertise ed avere un impatto positivo sulla società. Fondatrice e CEO della Waller & Company, collaboratrice delle principali riviste di business statunitensi (Forbes, FastCompany, Business Insider, ecc,), il profilo dell’autrice non può non lasciar intendere che l’intervento sarà di assoluto livello.
Infatti, veniamo subito catturati dagli impressionati numeri che la relatrice sciolina nelle battute esordiali: «Oggi, un comune dipendente, ottiene un tasso d’engagement maggiore del 561% quando condivide un brand message rispetto a quando lo stesso viene condiviso nei social media dalla company per cui lavora», o ancora: «Il dipendente medio, possiede sui social media circa 10 volte tanto il numero di followers della company per cui lavora». Due semplici considerazioni, o meglio constatazioni che provano che il futuro del branding è personale, e che non è più il futuro bensì la realtà del presente.
Questo perché, prosegue la Dr. Waller, si è recuperata una dimensione da sempre presente e alla base delle relazioni economiche fra le persone: l’incapacità del regime di corporate branding di alimentare la fiducia nei consumatori ha riportato i primi ad una conclusione piuttosto logica: «le persone fanno affari con persone che conoscono, di cui si fidano, che piacciono».
Il network sociale del singolo è di gran lunga la risorsa più importante, e per il singolo, e, sopratutto, per le aziende: in uno dei passaggi più rilevanti della presentazione viene affermato lo shift paradigmatico per cui fare branding è passato «dall’umanizzare oggetti ed abstract, all’influenzare le persone tramite altre persone che esse conoscono, ammirano e di cui si fidano».
In poche parole, le aziende hanno bisogno di noi consumers per la nostra capacità di influenzare altre persone, e quindi per ricostruire il legame fiduciario che era venuto meno, mentre noi, possiamo utilizzare loro per costruire la nostra reputazione e la nostra credibilità. A tal proposito l’autrice riporta un’esempio ‘strategico’ piuttosto semplice e credo comune a tutti noi, poiché applicabile a qualunque campo lavorativo: consigliando un amico dei tempi del college —rievoca—gli suggerisce una «strategia piuttosto semplice: per prima cosa tutti necessitano di garantirsi una reputazione credibile; utilizzo l’esperienza che si è costruito con un brand per portarlo al successivo». Bene, credo che in un certo senso siamo tutti personal brander di noi stessi se tanto è: in ogni bar o ristorante in cui sono stato a lavorare ho precisato subito i termini dell’esperienza lavorativa maturata nel locale precedente e credo che più di ogni altro aspetto sia questo a permettermi di trovare sempre un posto a tavola.
Qui il video integrale dell’intervento.
Giulio Montagner