Spesso capita di interrogare noi stessi per meglio comprendere quali sono le nostre aspettative, le richieste a cui non rinunceremmo, le features più importanti nella scelta di un datore di lavoro: l’agenzia Randstad tramite la Randstad Employer Brand Research lo ha domandato a più di 150.000 lavoratori provenienti e operanti in tutto il pianeta.
Nel raccogliere e trattare questa imponente mole di interviste, l’istituto fornisce in realtà un prezioso supporto alle imprese: se, infatti, rispondere a questa tipologia d’intervista porta ad un’awareness e ad una maturità maggiore del lavoratore nei confronti di sé stesso, riuscendo finalmente a visualizzare concretamente quanto ricerca sul posto di lavoro, d’altro canto le aziende possono altrettanto concretamente attrezzarsi per aumentare significativamente il proprio appeal sul fronte del mercato occupazionale: employer branding significa per l’appunto ottimizzare l’immagine della propria impresa economica.
Come detto in precedenza, questa ricerca ha carattere internazionale, raccogliendo interviste dai luoghi di lavoro di 5944 aziende dislocate in tutto il globo; naturalmente, sulla scorta dei dati raccolti è possibile sezionare la ricerca geograficamente ed è così che scopriamo come in Italia l’istituto sia riuscito ad intervistare più di 6500 persone nel 2022.
Il quadro che emerge si concentra, in primis, su quali sono i driver avvertiti come fondamentali al momento di maturare una decisione importante come la scelta di un lavoro.
Vengono riconosciute 5 direttrici principali: al primo posto ex-aequo a parità d’importanza attribuita troviamo: “atmosfera di lavoro piacevole” e “buon equilibrio fra vita lavorativa e vita privata”; seguono, sempre in ordine di importanza riconosciuta, “retribuzione e benefit interessanti”, “sicurezza del posto di lavoro”, e infine “visibilità del percorso di carriera”. Tali dati vengono combinati con il parametro principale utilizzato per la definizione del target, ovvero: coloro che hanno cambiato datore di lavoro nella prima metà del 2022—switchers—e coloro che non hanno cambiato, stayers.
Si nota piuttosto agevolmente a questo punto come l’importanza attribuita ai driver di cui sopra, sia sempre maggiore nel caso degli stayers rispetto agli switchers, ad eccezione dell’ultima area enucleata, che vede una situazione di perfetto equilibrio al 54% di entrambi i gruppi categorizzati.
A queste due categorie, inoltre, se ne aggiunge una terza: quella degli intenders, ovvero di coloro che prevedono di cambiare datore di lavoro nei primi 6 mesi del 2022: si tratta di un trend globale, che costituisce il 25% degli intervistati (35-54 anni).
In definitiva, quanto emerge dal report dimostra che in primo luogo la stragrande maggioranza degli intervistati si aspetta di lavorare da casa o in modalità blended negli anni a venire; inoltre, che la formazione professionale all’interno del posto di lavoro rappresenta uno dei fattori maggiormente accattivanti per attrarre nuovi dipendenti nonché uno di quelli da implementare maggiormente per scoraggiare la propensione al cambiamento che emerge nelle nuove comunità di lavoratori, sempre più autonomi e disposti a mollare e ricominciare se posti di fronte a migliori condizioni dell’ambiente lavorativo.
Giulio Montagner