È tristemente noto a tutti l’utilizzo del grafema Z nella guerra in corso ai confini europei.
Prestando fede all’interpretazione prevalentemente affermatasi nell’ultimo mese, essa sta per ‘vittoria’, in virtù di un’estensione letterale e di senso: Z abbrevia l’espressione Za pobedy — grammaticalmente essa già vale per (“za”) —, dunque letteralmente, “per la vittoria”. Si può quindi rilevare l’esistenza di un primo — peculiare — sistema semiologico: significante carro-armato-Z, significato “per la vittoria”, il segno è, naturalmente, la Z.
A questo punto la Z come totale associativo costituisce il primo termine del secondo sistema semiologico, quello cioè propriamente mitico. Quando dunque Il Post, Il Corriere o La Repubblica pubblicano un articolo in cui campeggia, ben in primo piano, uno dei carri-armati segnati dalla lettera Z cosa avviene? Esattamente questo, che siamo cioè di fronte, come spiegato da R. Barthes (Il Mito, 1994), a un sistema semiologico maggiorato: c’è un significante, c’è un significato, c’è infine una presenza del significato attraverso il significante.
Traducendolo nel linguaggio proprio del sistema mitico si ottengono una forma (la Zeta), un concetto (la vittoria), e, naturalmente, una significazione che come ben sappiamo costituisce il mito stesso. Tutto è semplicissimo, facilitato nella costruzione primaria anche dalla scelta di un significante-senso che più vuoto di così è difficile immaginare, avendo scelto uno dei costituenti stessi del linguaggio-oggetto; ciò su cui si vuole concentrare l’attenzione è quanto non saprei meglio definire che non l’antimito.
Con tale termine intendo designare il prodotto deformante della pressione che il mondo mediale occidentale ha esercitato ed esercita sul sistema semiologico secondo russo, altresì definibile come ‘il mito della vittoria russo’. Un Lettore attento avrà già storto il naso vedendo un siffatto uso del termine deformazione — memore della lezione del Maestro: Gli chiedo di non soffermarvisi al momento.
Ora, non potrebbero essere più manifesti i tentativi della stampa occidentale di trasformare il mito della Z, rectius: dal momento che «questo modo di mettere a fuoco è ad esempio quello del produttore di mito, del redattore giornalistico che parte da un concetto e gli cerca una forma» si sta cercando di sostituire il mito della Z, la sua significazione: ciò è possibile appunto perché utilizzando quel modo proprio di «mettere a fuoco…del produttore di mito, del redattore giornalistico» l’unico prodotto che ne può emergere è un simbolo: la Z è l’esempio, il simbolo, non della vittoria russa ma dell’imperialismo russo.
Sappiamo, infine, che il simbolo non è la forma propria del mito; così come sappiamo che in un rapporto di sostituzione come quello sotteso al simbolo non si danno equivalenze bensì uguaglianze: ciò squalifica la possibilità di avere una forma qualsiasi di dialettica.
Resta dunque lo scacco di una comunicazione che prende un sistema mitico e lo legge focalizzandosi sul significante, facendone un simbolo, sì da poterlo sostituire. Così facendo, tuttavia, si tenta di demistificare un mito con un mito, anzi con la forma meno propria del mito, con un simbolo-mito, la cui funzione è quella di sostituirsi al mito della propaganda russa (in questo caso, anch’esso un simbolo-mito): dunque assegnandoli il ruolo di antimito. Non ci siamo allora liberati del tranello dal quale Barthes già ci aveva messi in guardia: «il consumatore del mito prende la significazione per un sistema di fatti: il mito viene letto come un sistema fattuale mentre è solo un sistema semiologico».
Nondimeno, lo sforzo è encomiabile: ci viene di nuovo in soccorso l’autore dei Miti d’Oggi, il quale afferma: «Per la verità, l’arma migliore contro il mito è forse mistificarlo a sua volta, è produrre un mito artificiale: e questo mito ricostituito sarà una vera e propria mitologia. Visto che il mito ruba al linguaggio, perché non rubare al mito? Per far ciò basterà ridurlo a punto di origine di una terza catena semiologica, porne la significazione come primo termine di un secondo mito».
Vediamo dunque che la stampa occidentale prende la significazione del mito russo, “la vittoria russa” e la trasforma nella forma del nuovo sistema: il concetto, invece, vi è significato dall’intenzione propria del mito occidentale: che è rivelare come questa “vittoria russa” sia solo il segno manifesto dell’imperialismo russo o dello zarismo putiniano a dir si voglia: questo risultato è quanto s’impone a noi come significazione complessiva, quello che il mito ci dice.
Giulio Montagner