“Ma hai le tue cose?”: quante volte ci siamo sentite fare questa domanda? Tante, troppe. Perché parlare di ciclo mestruale è per molti ancora fonte di imbarazzo? Ogni persona dotata di un utero impara col tempo a camuffare il proprio stato fisico dietro nomignoli comici che, se in un primo momento possono farci sorridere, in un secondo momento ci devono anche far riflettere. Perché si parla di “cose”? Perché si dice che è arrivato lo zio dall’America? Il Barone Rosso? Il Marchese?
Il problema di base sta in radici ideologiche sbagliate, come la credenza popolare secondo cui le mestruazioni causino sbalzi d’umore. I vari sintomi – aggressività, rabbia, scarsa autostima, irritabilità – vengono così erroneamente imputati alla fase mestruale, ma sono da attribuire in realtà alla fase premestruale. Questi disturbi, inoltre, non sono solo comportamentali ma anche fisici. Ovviamente, non per tutte le persone rappresentano un problema invalidante, alcune convivono con sintomi di lieve entità che non hanno bisogno di essere trattati. Si stima, tuttavia, che oltre il 90% delle persone avverta uno o più sintomi legati alla sindrome premestruale.
Sebbene si tratti di una delle cose più naturali del mondo, le mestruazioni sono ancora ancora oggetto di miti e false credenze, un vero e proprio tabù per molte persone e culture. Alla base di ciò vi è disinformazione e mancata comunicazione. Compito della famiglia e delle istituzioni, come la scuola, dovrebbe essere quello di educare bambine e bambini, sin da piccoli, alla normalità del ciclo mestruale. In questo modo, crescendo, le ragazzine non vivrebbero con la paura costante di dover nascondere gli assorbenti o di sporcarsi. Se ci fosse una corretta “educazione mestruale” sin dall’infanzia, probabilmente ci si rapporterebbe al tema in maniera più consapevole, senza pensare alle mestruazioni come qualcosa di sporco o disgustoso, ma come semplice espressione della natura umana.
Ma vediamo ora qualche caso studio.
Nel 2020, l’account Twitter di Tampax US ha pubblicato un tweet che recitava così:
“Non tutte le donne hanno il ciclo. E non tutte le persone che hanno il ciclo sono donne. Celebriamo la diversità di tutte le persone che hanno le mestruazioni!”
Questa dichiarazione coraggiosa del brand ha aperto le porte alla comunità transgender. Ciò che sembra impossibile da accettare è il fatto che le persone non binarie o quelle in transizione dal sesso femminile a quello maschile possano avere il ciclo mestruale. Forse ancor più impensabile per alcuni è l’idea che le persone in transizione dal sesso maschile a quello femminile possano essere considerate donne a tutti gli effetti, pur non avendo il ciclo.
Un’altra campagna pubblicitaria che ha suscitato molto scalpore è stata quella di Nuvenia, intitolata #bloodnormal. Nello spot, la scelta di utilizzare una provetta di liquido rosso risulta essere innovativa. Il fine è quello di rappresentare il più realisticamente possibile il sangue mestruale, che si vede anche qualche secondo dopo scorrere lungo le gambe di una ragazza. Lo slogan pensato dal brand è:
“Il ciclo è normale. Mostrarlo dovrebbe esserlo allo stesso modo.”
Se quasi tutti concordano con la prima parte del claim – il ciclo è normale –, non per tutti “mostrare” dovrebbe essere altrettanto normale. Per molti, infatti, è sinonimo di esibizionismo e di ostentazione di momenti intimi e privati. Per altri, invece, “mostrare” è sinonimo di emancipazione. Nuvenia si conferma essere una marca capace di comunicare senza censure e segna una rottura con il passato. Il tema può dirsi finalmente sdoganato: una conquista per tutte le donne che saranno “libere di osare”.