Negli ultimi due anni si è notevolmente diffuso il fenomeno del Great Resignation, che riguarda soprattutto i giovani della generazione Z e che trova il suo momento di culmine nel periodo di pandemia da Covid.
Ma di cosa si tratta?
Per Great Resignation, o Grandi Dimissioni, si intende il significativo aumento delle dimissioni, che vede un numero crescente di persone lasciare il loro lavoro in maniera del tutto volontaria.
Uno studio McKinsey rivela che il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi mesi, e che in Italia fra Aprile e Giugno 2021 quasi mezzo milione di persone (484mila per l’esattezza) ha dato le dimissioni. Il 53% dei datori di lavoro stessi ha affermato di avere un turnover volontario maggiore rispetto agli anni precedenti e si aspetta che il problema peggiori nei prossimi mesi.
Questo fenomeno tocca soprattutto la Generazione Z (33%) e i Millennial (25%), che rappresentano le fasce di età che più si sono messe in gioco; per cui 1 persona su 4, a livello globale, intende cambiare posto di lavoro.
Queste generazioni sono totalmente diverse da quelle dei loro genitori e tendono ad avere molto più a cuore aspetti più umani, come quelli legati ai valori, alle ingiustizie, ai diritti e alle esigenze primarie. Ciò si raccoglie nella tendenza della Yolo Economy (You only live once), che spinge queste generazioni ad abbandonare il posto per nuove attività.
Quali sono i motivi principali della Great Resignation? Le cause possono essere le più svariate: dal burnout dovuto a carichi di lavoro eccessivi, alla ricerca di un posto che preservi il benessere, al desiderio di poter avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro difendendo il work-life balance. Oppure, i giovani non trovano l’adeguata soddisfazione personale nel posto dove lavorano, tanto da voler cercare una realtà più stimolante, flessibile, che garantisca incarichi più mirati e soddisfacenti, anche a livello di carriera.
Molto diffuso a danno di queste generazioni è anche il fenomeno del mobbing, sempre più diffuso tra colleghi e datori di lavoro.
Da non dimenticare è l’aspetto economico. Molte aziende assumono giovani reclute per pagarle di meno e non offrire loro alcun aumento di stipendio, mentre le nuove generazioni cercano nuovi posti di lavoro che compensino con lo stipendio l’impegno apportato.
Un fenomeno sempre più diffuso e di non sicuro positivo. Le aziende, dal canto loro, dovrebbero impegnarsi per capire i motivi per cui i giovani si dimettono, in modo da mantenere e sviluppare questi talenti, invece di considerarli solamente un numero.
Isabella Migliorati