Sono ormai anni che la politica aziendale di Netflix punta all’inclusività, argomento molto caro soprattutto alle nuove generazioni. Tra le serie inclusive disponibili sulla piattaforma di streaming, a partire dal 2017 c’è anche Atypical, nata dalla penna di Robia Rashid (co-produttrice di How I Met Your Mother).
Per iniziare, potremmo dire che Atypical è una serie tv “atipica”. Nel 2021 è uscita la quarta e ultima stagione della seria, che però in Italia non ha riscosso molto successo. Il protagonista è un ragazzo diciottenne di nome Sam Gardner (interpretato da Keir Gilchrist), affetto dalla Sindrome di Asperger. Sam ama particolarmente l’Antartide e i pinguini, mostra un’acuta intelligenza emotiva ed è dotato di una spiccata capacità nel disegno. Vive con la sua famiglia, composta dalla “mamma-chioccia” Elsa (Jennifer Jason Leigh), il padre Doug (Michael Rapaport) e la sorella Casey (Brigette Lundy-Paine).
Emblematico il fatto che Sam non è mai solo: non esiste un solo personaggio della serie che non lo abbia aiutato. Tutti i personaggi lo accompagnano nella sua crescita personale. Ad esempio, grazie al suo migliore amico Zahid (Nik Dodani) e alla sua fidanzata Paige (Jenna Boyd), Sam scopre la sua sessualità e trova il coraggio di uscire fuori dal suo nido.
Il filo conduttore della storia è, dunque, l’autismo di Sam, con annesse le problematiche correlate alla sua condizione ma anche alla sua giovane età. Quello che possiamo apprezzare di questa serie tv è la sua capacità di intrattenere ed educare al tempo stesso, senza forzature o fini provocatori. Al divertimento, presente soprattutto nelle scene in cui Sam spiattella le sue crude opinioni creando situazioni molto buffe e a tratti anche imbarazzanti, si affianca la sofferenza, che Sam vive nei suoi momenti di down quando, ad esempio, vive un sovraccarico di emozioni.
Atypical è, dunque, un chiaro esempio di come la televisione possa essere non solo mezzo di intrattenimento ma anche di formazione e informazione, una vera e propria fonte educativa. Tuttavia, non è l’unico caso positivo: ricordiamo anche The Good Doctor. O ancora, come dimenticarsi della bellissima voce di Artie Abrams, giovane ragazzo paralizzato, del Glee Club? Si tratta di soggetti che mostrano la loro ordinarietà attraverso differenti tipi di disabilità.
Difatti, se in passato eravamo abituati a narrazioni che vedevano in prima linea grandi eroi, ad oggi sempre più frequenti sono quelle forme di storytelling che si concentrano su cosiddetti “antieroi”. Protagonisti fragili, imperfetti, incompresi animano sempre più frequentemente il mondo dell’audiovisivo. Pertanto, la contemporaneità seriale ha saputo arricchirsi di un catalogo in crescita esponenziale.
Sicuramente uno dei temi più delicati e scottanti rappresentati nella dimensione immaginifica del cinema e della televisione è la disabilità. Quando ci si avvicina a questo tema, infatti, bisogna fare attenzione a delinearlo nel modo più corretto. Questo non significa dover trattare l’argomento con una carica eccessivamente drammatica – sebbene sia a volte doveroso – ma, al contrario, mostrare come qualsiasi forma di diversità non è altro che una fonte di arricchimento. I diversamente abili conoscono così la possibilità di giocare con la propria disabilità, non vergognandosene ma mostrando di essere in grado di ridere di sé e prendere la vita con leggerezza,“ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.