UNA BIENNALE EROTICA? TRA STORIA DELLA VISIONE E STORIA DELL’ARTE

Per la Locandina della 59ª Edizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia — a cura di Cecilia Alemani — è stata scelta l’opera Phanthomgòrico. Per chi non lo sapesse, invece, il titolo della stessa esposizione è The Milk of Dreams, preso a prestito dall’autrice surrealista Leonora Carrington. Il terzo elemento indiziario ci è fornito direttamente dall’organizzazione stessa. Invero, il post che accompagna l’immagine reca:

«Sogni, identità, corpo e riflessione sono alcuni dei temi che attraversano la 59ª Esposizione Internazionale d’Arte a cura di Cecilia Alemani. Nell’identità grafica de #IlLatteDeiSogni, a firma di A Practice for Everyday Life, questi temi sono simboleggiati dall’occhio, elemento comunque delle quattro opere di Belkis Ayòn, Felipe Baeza, Tatsuo Ikeda e Cecilia Vicuña scelte per i manifesti della Mostra. Gli occhi che vi guardano oggi — e che insieme agli altri vi guarderanno nei prossimi mesi dai muri, dai ponti e dai vaporetti di Venezia — sono quelli di “Phanthomgòrico” di Felipe Baeza».

Evidentemente, in questa sede non si vuole avanzare alcuna obiezione né alla scelta dell’opera come copertina della Mostra in sé, né tantomeno alle affinità ravvisate tra succitati artisti, raccordati sotto al segno dell’occhio: non si tratta infatti di un articolo da terza pagina, spia ne è la semplicità dello stile adotto.

È ben più sottile il gusto, ebbene sì, énnui, di una piccola polemica: ciò che arriccia il naso in questo caso è l’apparente omissione del modello retrostante a questo — chiamiamolo impropriamente — fil rouge: pare, di fatti, che sia Bataille, con Barthes,[1] a condurre per mano la scelta della curatrice in questo determinato frangente, per lo meno meno — se si vuole —, nell’associazione prodotta in questo determinato post[2].

Sia ben chiaro, potrebbe darsi che si tratti semplicemente di sufficienza: il modello è ben noto — la Carrington era dopotutto coeva agli stessi. Dunque, non vi è motivo di indicarlo: è scontato, lampante, così come per trascuratezza: il lavorio dell’inconscio non è trapelato e il modello di fondo che ha surrettiziamente agito la mano è rimasto, per l’appunto, tale.

Tuttavia pare comprensibile che, a fronte della enorme cultura personale in dote alla curatrice, una parte almeno dei possibili fruitori potrebbe non cogliere l’accostamento dell’occhio e del latte nella matrice surrealista, nonostante la forte storicità che dovrebbe caratterizzare questa 59ª edizione possa sicuramente favorire la moltiplicazione di possibili combinazioni di senso.

Eventualmente, se il contributo di fondo che ho richiamato venisse confermato nel corso della Mostra, sarebbe veramente interessante sapere quali ragioni hanno spinto in porto la decisione di suggerire in copertina il più anticonvenzionale dei casi di erotismo.

Giulio Montagner


[1] Ci si riferisce rispettivamente alla Storia dell’Occhio e allo scritto La metafora dell’Occhio.

[2] Anche se, trattandosi in qualche modo della presentazione della mostra, viene il sospetto che tutta quanta ricada sotto al segno in questione.