State guardando un film e a un certo punto tentate di alzare la luminosità sul vostro dispositivo, solo per scoprire che è già al massimo possibile. Eppure, la scena è ancora troppo scura per distinguere qualsiasi dettaglio. Se è successo anche a voi, proseguite la lettura per rifletterci insieme.
I film sfruttano da sempre – o meglio, dal primo film a colori dei fratelli Lumière nel 1908 – il colore e la vivacità come strumento per enfatizzare ulteriormente l’esperienza cinematografica, tuttavia negli ultimi decenni abbiamo notato tutti come i film siano diventati sempre più “dark” – e non nel senso cinematografico del termine. Proprio nel senso di buio. Infatti, non importa il tipo di storia che viene raccontata, una patina di blu freddo o di grigio ormai lava tutto, smorzando i colori e fornendo una patina generale di serietà, tagliando via la vivacità sopracitata e portando a una noiosa uniformità. Il risultato? La combinazione di colori di ogni fotogramma finisce per sembrare uguale a tutti gli altri, e quando ci sono così tanti progetti audiovisivi che usano tecniche simili, si finisce in un mare di immagini monotone che non si distinguono tra di loro.
Molto spesso l’uso di questi “filtri” risponde a scopi funzionali così come a scopi simbolici e artistici, e in molti casi ha funzionato bene, basti pensare a Harry Potter e i Doni della Morte: le cose a Hogwarts si stanno mettendo male, [SPOILER ALERT] Voldemort è di nuovo all’apice del suo potere, il mondo della magia rischia di essere compromesso per sempre. L’atmosfera cupa del film serve in tal senso a evidenziare tutte queste criticità, e per questo l’oscurità nel mondo del cinema non è una scelta stilistica a cui opporsi in toto. Infatti, ha la capacità di cambiare l’atmosfera e il tono di una scena, ma allo stesso tempo può creare tensione e inquietudine. Uno dei fattori più importanti da considerare è che può contrastare nettamente con la luce ed evocare certi sentimenti, o mostrare lo stato mentale in cui si trova un particolare personaggio. Fin dagli albori della pellicola a colori, il color timing (ovvero la correzione del colore) ha rappresentato una parte importante della produzione cinematografica, e ben presto i registi hanno capito che si poteva usare questo tipo di spostamenti di colore – che fossero creati in laboratorio prima o sul set poi – per guidare emotivamente il pubblico attraverso il film.
Tuttavia, quando le “palette” scure vengono usate eccessivamente, spesso rovinano l’intera esperienza visiva di noi spettatori: da espedienti narrativi arrivano a farci pensare che i registi abbiano girato durante un blackout. È una tendenza che ha riguardato moltissimi successi su piccolo e grande schermo: sia in tempi più recenti, come “Game of Thrones”, “The Batman” e “Handmaid’s Tale”, ma anche film classici come “Alien”, “Taxi Driver” e “Seven” utilizzano immagini scure.
Lungo questo solco, si inserisce senza dubbio anche il teen drama HBO “Euphoria”. La seconda stagione dello show è stata girata su Kodak Ektachrome 35mm, il che ha costretto Kodak a convertire parte della sua fabbrica per produrre la pellicola fuori produzione. Qui luce e buio hanno avuto un compito sempre più importante, narrativo ed evocativo. In certe scene, in cui lo sfondo è particolarmente scuro, la luce ha il ruolo di isolare i volti, drammatizzarli, sottolinearne le espressioni, e farci vedere solo quelle: in questo modo non possiamo scappare, dobbiamo stare lì, davanti a quei volti, dobbiamo vivere le loro emozioni. Sembrano quasi illuminati accidentalmente nell’oscurità, come se fossero in un quadro di Caravaggio. Le luci si accendono e si spengono intorno a loro. In altre scene, invece, i corpi dei personaggi sono spesso ripresi in controluce: la macchina da presa li accarezza e li astrae e allo stesso tempo li rende vividi, vibranti. È un uso volutamente irreale, forzato delle luci; l’euforia è proprio questo, un continuo contrasto tra luce e buio, tra aspirazioni e realtà.
Queste forti emozioni provocate dai contrasti non rappresentano però la regola: sappiamo, infatti, che noi esseri umani tendiamo più spesso a prestare attenzione al colore nella nostra vita quotidiana, con preferenze marcate per determinate tonalità quando si tratta di abbigliamento, arredamento, arte e così via. Questo medesimo tipo di reattività al colore, soprattutto quando è utilizzato in maniera espressiva dai registi, diventa centrale anche nel mondo dell’audiovisivo. Se il colore può creare sentimenti così potenti nell’audience, i movie-maker dovrebbero pensar bene di recuperare questo strumento importantissimo dalle loro cassette degli attrezzi piuttosto che omologarsi a ciò che fanno tutti gli altri: l’oscurità non deve trasformarsi in un cliché di stile, bensì restare una precisa scelta narrativa.