IL NOVELLARE DI BOCCACCIO E LA SERIALITÀ CONTEMPORANEA

La meraviglia, la paura e il degrado sociale e umano nella Firenze comunale diventano lo spaesamento, l’incredulità e le problematiche etiche e socio-economiche nel mondo contemporaneo.

Lo scenario di morte nella città toscana si trasforma nelle statistiche e nelle percentuali di decessi nazionali e internazionali nei mass media odierni.

Nella Firenze trecentesca come adesso nel mondo assistiamo all’impreparazione della scienza medica nel curare la malattia, sia per la novità della malattia, sia – come osserva Boccaccio, ma anche noi comuni cittadini dell’oggi – per l’ignoranza e la superbia di molti che si improvvisano dottori e scienziati.

Agli egoismi e alla progressiva dissoluzione delle regole della convivenza civile in una Firenze costellata di malati abbandonati in casa dai loro stessi parenti, di poveri che muoiono in strada senza aiuto alcuno, di servi che approfittano dei padroni ammalati per derubarli, possiamo affiancare il mondo contemporaneo che, pur con declinazioni differenti, non si allontana da questo scenario: lasciamo morire il terzo mondo, teniamo i vaccini per le Nazioni ricche, il distanziamento fisico ci impedisce di vivere gli affetti e la paura della malattia allontana la solidarietà e ingigantisce gli individualismi.

Il Decameron di Boccaccio come paradigma dell’odierna pandemia mondiale?

Troppo facile? Perché allora non prendere qualunque altra pagina della peste di Lucrezio, di Manzoni o Camus? Perché le affinità sono tanto più innumerevoli e suggestive quanto più sono lontane dalle nostre aspettative di lettori moderni del Decameron.

Tralasciando la pur sorprendente somiglianza tra la movida, gli assembramenti, gli happy hour contemporanei e quanti nel Decameron andavano “il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quella altra, bevendo senza modo e senza misura”, vogliamo però soffermarci su un punto in particolare che ci sembra davvero capace di unire letteratura e realtà, passato e presente: il novellare come scelta di vita alternativa alla tragedia della malattia.

Tutti ricordiamo l’allegra brigata dei giovani ragazzi che, nel Decameron, sfuggono alla peste fiorentina rifugiandosi nel contado e dando origine a un’utopica comune hippy ante-litteram, dove tutti lavorano per tutti, condividendo lavori, incombenze, regole, svaghi: e qui il raccontare storie struggenti, avventure avvincenti, amori, tradimenti, sogni, furbizie salva dalla noia con l’affabulazione della parola e dà forma alle fantasie di una vita che invece deve essere circoscritta al perimetro della villa di campagna.

Ecco: allo stesso modo noi, in piena pandemia mondiale, diventiamo i giovani della brigata di Boccaccio, ci rifugiamo nelle nostre case e per vincere la noia, ci aggrappiamo al potere atavico del raccontare storie come antidoto e appagamento: le novelle di Boccaccio si trasfigurano nelle moderne e avvincenti serie televisive, in quei racconti in movimento che proprio nella serialità trovano il loro punto di forza.

Non ce ne possiamo/vogliamo staccare, ne fruiamo in modo sempre più compulsivo, grazie anche alle piattaforme on demand che ci permettono di decidere tempi e modi di fruizione: come seriale ante-litteram era il novellare del Decameron, con la cadenza giornaliera di ruoli, temi e narrazioni, così le serie di Netflix, Sky scandiscono i momenti della giornata, ci accompagnano nella nuova routine pandemica, ci evitano di sprofondare nello sconforto e nell’ansia perché altro non sono che il ritorno alle origini dei tempi, quando raccontare storie, tramandarle oralmente, farle diventare un patrimonio generazionale significava creare miti e aspettative su cui far germogliare la società del futuro.

Patrizia Celot