A chi non è mai capitato di svegliarsi, aprire gli occhi, spegnere la sveglia e pensare: voglio scrivere una sceneggiatura? A nessuno, forse. Se fai parte di quel forse, questo è l’articolo per te.
Per immaginare e scrivere una buona sceneggiatura è necessario avere bene in mente una solida idea da sviluppare. Una volta accesa la scintilla creativa, si potrà passare all’azione, ovvero iniziare a scrivere una storia per immagini. Alla base, però, una buona idea drammatica, un buon soggetto, una scaletta ben organizzata e un trattamento sono obbligatori per passare all’azione.
La figura dello sceneggiatore incarna la pelle di un artista. Non deve solo trasformare le idee in parole, e il testo in azione: deve avere davanti a sé un mondo immaginario e saperlo rendere concreto. Un lavoro cervellotico, mai banale. In primis, per organizzare i contenuti e procedere alla stesura della sceneggiatura, uno sceneggiatore deve basarsi su quello che è il paradigma dei tre atti di origine aristotelica, che si basa sull’assunto che una storia ha un inizio (primo atto), una parte centrale in cui si svolge l’azione cardine della storia (secondo atto), e una conclusione (terzo atto). La suddivisione in tre atti fa progredire l’azione e attiva il conflitto, elemento base che consente allo sceneggiatore una migliore caratterizzazione del personaggio, e che a sua volta permetterà, se fatta bene, una maggiore identificazione da parte dello spettatore.
Nello specifico, il primo atto si chiude idealmente allo scadere delle prime 30 pagine. Idealmente, una pagina corrisponde circa ad 1 minuto di girato, di conseguenza il primo atto terminerà dopo la prima mezz’ora, momento in cui la storia volge al primo turning point (anche detto plot point), il punto di svolta, ovvero quel momento dinamico in cui il protagonista della storia prende coscienza della propria situazione e viene innescato un meccanismo causa-effetto che pone il personaggio costantemente a competere con azioni che ne innescano altre. Può così, con il secondo atto, prendere piede la dinamicità della storia. Il secondo atto, infatti, decolla con la visualizzazione concreta dell’obiettivo da parte del protagonista che, catalizzando le proprie forze su di esso, ingegna modi per raggiungerlo. L’obiettivo non deve essere per forza qualcosa di mastodontico o palesemente grandioso, né tantomeno banale e ordinario. In più, la sua concretizzazione deve essere percepita da chi guarda come né troppo facilmente raggiungibile, né come un’impresa inverosimilmente difficile: lo spettatore, altrimenti, si annoia!! Insomma, questo secondo atto deve essere: ben bilanciato, durare all’incirca 60 minuti, e deve mantenere l’attenzione!
Il passaggio dal secondo al terzo deve contenere il secondo plot point, ovvero quell’azione che porta alla risoluzione della vicenda. Il terzo atto deve necessariamente essere breve, in genere la sua durata è di 10/20 minuti (che corrispondono sempre a circa 10 o 20 pagine di sceneggiatura), perché ormai la vicenda sta giungendo al termine, trainare le vicende dei personaggi dopo il raggiungimento dell’obiettivo, quando la suspense è stata lasciate alle spalle, soffoca l’interessa degli spettatori.
Sceneggiare, come si deduce, non è per nulla un lavoro facile, è un compito di creatività e capacità di scrittura che richiede duro lavoro e buona volontà. È difficile, ma non impossibile! Con caparbietà e tanta passione (e studio!) puoi diventarlo anche tu.
In bocca al lupo!!
Carolina Pugliese