Se pensate che moda e rispetto per la natura siano due rette parallele, vi sbagliate!
Avete mai sentito parlare del brand PANGAIA? Un nome che viene dall’antica Grecia, per enfatizzare la stretta connessione con Madre Terra.
Negli anni più recenti, l’attenzione ai temi della sostenibilità ambientale da parte dei clienti ha stimolato le industrie tessili a ricercare un connubio vincente tra bellezza, moda e ambiente. E così anche i colossi del Fast Fashion tendono oggi a comunicare con fervore e orgoglio collezioni dai materiali eco-friendly e riciclati.
Insomma, il Fast Fashion, con i suoi capi economici destinati a durare poco, sta lasciando la scena allo Slow Fashion, un nuovo modo di pensare che prende in considerazione il ciclo di vita del prodotto – dal design alla produzione – e risponde responsabilmente a tutto ciò su cui ha un impatto, dalle comunità dei lavoratori agli sprechi delle risorse naturali.
Proprio il brand PANGAIApropone lo Slow Fashion nella propria mission, e forse si spinge ancora più in là. Puntando molto sulla condivisione dell’impegno e sulla circolarità delle azioni, rende partecipi i propri clienti di un cambiamento: <<on a mission to design a better future together with you>>. Il logo incisivo, fatto di punti rotondi proprio come il nostro pianeta, rende unico e identificabile il brand e la frase che accompagna ogni prodotto specifica i materiali e le tecnologie utilizzate per crearlo, facendosi portavoce della sua identità.
PANGAIA nasce formalmente come startup alla fine del 2018 e una dei soci fondatori è Miroslava Duma, già fondatrice della compagnia di consulenza tecnologica Future Tech Lab. Senza una gerarchia aziendale rigida e definita, PANGAIA si nutre di collaborazioni con partners e personaggi famosi con cui condivide medesimi valori e ideali. Ne sono un esempio Pharrel Williams, grande sostenitore del brand; l’attore Jaden Smith, fondatore di JUST goods; o ancora, il designer Francisco Costa, fondatore di Costa Brazil, per creare una collezione a sostegno della biodiversità minata della Foresta Amazzonica e delle popolazioni indigene che la abitano.
Nella loro vision risuona l’eco di una rivoluzione green: si definiscono una compagnia scientifica, formata da un collettivo di ricercatori tecnologici, bio-ingegneri, designers e artisti, che insieme studiano nuovi materiali per salvare l’ambiente. È l’inizio di un ambizioso movimento, quasi politico, frutto di un lavoro quasi decennale sul ripensamento di una linea essenziale e veramente sostenibile.
PANGAIA presenta una linea morbida, semplice e colorata. Scordiamoci le infinite varietà degli altri brand, PANGAIA propone pochissimi capi: una tipologia sola di pantalone, un maglione, una felpa con cappuccio e una maglietta. Tutti selezionabili in differenti colori vibranti, esclusivamente ricavati da tinture vegetali. All’inizio del suo percorso PANGAIA, però, ha cominciato con il ripensare le T-shirt, il prodotto base più richiesto. Le hanno realizzate in fibra di alga marina, coltivata in Islanda e raccolta solo una volta ogni quattro anni, e cotone organico. Hanno poi studiato una formula efficiente, che consiste nel trattare i materiali con olio di menta, per ridurre la frequenza del loro lavaggio, e dunque lo spreco e inquinamento d’acqua.
Quando parlano di innovazioni, è tutto vero! Pensate che la loro tecnologia di produzione va ben oltre la semplice biotecnologia e approda nel high-tech Naturalism, che si esplica nell’utilizzo di risorse dell’ambiente naturale coordinate a soluzioni tecnologiche, che rendono le prime ancora più efficienti.
Non solo moda,dunque, gli obiettivi della startup vanno ben oltre e si leggono sulla loro pagina principale. Subito in risalto, infatti, appare il loro Impact Report 2020 in cui vengono ripercorsi gli obiettivi ambientali raggiunti nell’anno che vede il suo termine, allineandosi con i Sustainable Development Goals (SDG) promossi dall’ONU nell’Agenda 2030. Con la speranza che PANGAIA sia un buon esempio per i futuri sviluppi del mondo fashion, noi, in tempi di feste, possiamo intanto sostenerla… magari facendoci un regalo?
Chiara Barozzi