Atmosfere cupe, la solitudine di una cella, i pensieri di una donna. Verità e menzogna si intrecciano e giocano a nascondino. Il racconto inizia: Canada, anno 1843.
Margaret Atwood ci ha deliziato, nel 1996, con un romanzo ispirato ad una storia vera, che ha portato alla produzione di una miniserie disponibile su Netflix, “Alias Grace”.
Grace Marks è la protagonista del racconto, una giovane condannata al carcere a vita per essersi macchiata di un duplice omicidio. La donna è stata infatti giudicata complice di James McDermott nell’assassinio del padrone Thomas Kinnear e della sua governante, Nancy Montgomery.
La vicenda accoglie un altro personaggio, il dottor Jordan che, su richiesta del reverendo della città, inizia delle sessioni di conversazione con Grace per cercare di capire cosa sia realmente accaduto il giorno dell’assassinio. Gli incontri si dimostrano intensi e complessi: il pubblico, così come il medico, non riesce a comprendere se la ragazza sia sincera.
Ma se il vostro intento è di avvicinarvi alla serie, o al romanzo, per scoprire quale sia la verità, bene, non è quello che troverete.
Il racconto è incalzante, è difficile decidere di chiudere Netflix, ma allo stesso tempo procede con lentezza, regalandoci il tempo necessario ad indagare la psiche della misteriosa protagonista.
Seguendo la narrazione sicuramente siamo resi più partecipi dei reali pensieri di Grace, la quale tace più volte la verità e omette parti del racconto.
Ma proprio in virtù della sua abilità nell’arte di tessere menzogne sorge spontaneo un dubbio: e se fossimo anche noi vittime dell’ammaliante fanciulla?
Ciò che spinge l’audience a ritenere di poter conoscere la verità è la possibilità di intrufolarsi nei pensieri della protagonista, di poter assistere alle sue esperienze passate.
Quello a cui si partecipa è un universo patriarcale e violento, cui primo protagonista è il padre di Grace. Egli non è l’unico mostro che costella la vita della ragazza che, quando si trasferisce a lavorare come cameriera nella casa del signor Kinnear, incontra lo stalliere James McDermott, uomo rude e misogino, che non accetta di essere professionalmente sottoposto ad una donna (la governante Nancy).
È emblematica la scena del terzo episodio in cui, interessato a sapere se Grace abbia un amato, e dopo aver riscontrato che la fanciulla non sia interessata ad una relazione, pronuncia una gelida ed impietosa sentenza: «Vai solo domata, come una puledra, e funzionerai bene come le altre, ci penserò io ».
Scopo della Atwood è di portare in scena la storia di una donna – colpevole o meno poco importa – imprigionata in una società patriarcale, che la sottomette e la porta a misurare con attenzione cosa dire, e come.
La scrittrice, nonostante quanto emerga dai romanzi, non ama definirsi femminista: è semplicemente una donna che parla di donne, dei loro diritti e della ricerca di libertà.
[La Atwood è anche una delle protagoniste del podcast “Morgana”, se ti interessa sapere di cosa si tratta ti lascio qui il link al mio articolo]
Un racconto impietoso e affascinante, che trasporta il pubblico nelle atmosfere di una società ottocentesca ben lontana dal riconoscere pari diritti ed opportunità a uomini e donne. Grace è la rappresentazione di una donna coraggiosa, ma portata a mettere in silenzio la sua stessa voce e, forse, coscienza.
Giulia Farina