THE WITCHES: POLITICALLY INCORRECT?

Dopo i vecchi cartoni animati di Disney accusati di razzismo, scoppia il caso dell’ultimo film di Zemeckis: non più razzismo, ma disabilità.

“Le Streghe”: il recente film di Robert Zemeckis, tratto dal racconto per ragazzi di Roald Dahl, è “politically incorrect”! Come è possibile? Cosa ci può essere di “incorrect” in una classica storia di fantasia, in cui una nonna e un bambino orfano si devono difendere dalla Strega Suprema che vuole trasformare tutti i bambini in topi? Come può un regista insospettabile e rassicurante come Zemeckis essere caduto nella trappola di polemiche extra-cinematografiche?

La Warner Bros, che ha fatto uscire il film negli Stati Uniti su HBO Max e poi in Italia sulle piattaforme in streaming, è stata subissata di polemiche che ricordano da vicino quelle per cui la Disney, in tempi recenti, ha dovuto “scusarsi” per contenuti razzisti nei vecchi cartoni animati di “Dumbo” o de “Gli Aristogatti” (solo per fare qualche esempio): il paradigma socio-culturale è ormai cambiato e, quindi, i vecchi film che si fanno portavoce di un vecchio paradigma irrisorio e scorretto devono almeno contenere una nota esplicativa-giustificativa sulla distanza storica che intercorre tra il vecchio immaginario collettivo e quello odierno.

Ma quello di Zemeckis è un film appena uscito, un film nato nell’America delle lotte per i diritti civili, indirizzato a un pubblico giovane (e non) cresciuto a pane e serie televisive scabrose e irriverenti: perché, allora, tanto scalpore? quali le motivazioni della polemica? quali le accuse? La principale accusa che viene fatta al film è quella di aver rappresentato la Strega Suprema, quindi il personaggio cattivo, il mostro, senza le dita centrali della mano: una disabilità, un handicap fisico che ha fatto insorgere prima fra tutti l’atleta paraolimpica Amy Marren che si è detta preoccupata che “i bambini, guardando il film, che esagera enormemente quanto descritto da Dahl, possano iniziare a temere la diversità degli arti”.

Un film discriminante, ecco il problema: “Le streghe” è (sarebbe) un film che discrimina la diversità, la associa al cattivo e al male, la rende repellente e fastidiosa, la veicola come caratteristica mostruosa, volendo sollecitare un atteggiamento di odio verso persone che non rispecchiano gli standard estetici tradizionali. La strega interpretata da Anne Hathaway sembra essere affetta da ectrodattilia (o agenesia centrale), una deformità degli arti che viene definita anche come sindrome della “mano divisa”: ritrarre personaggi cattivi con difetti fisici sembra allora riproporre i soliti stereotipi secondo cui le persone con handicap sono anormali, spaventose, cattive. Da qui le scuse e le giustificazioni della Warner Bros che tenta di rassicurare il pubblico e di sanare l’equivoco, dimostrandosi rattristata per il fraintendimento e per i turbamenti arrecati, senza volerlo, alle persone disabili, invitando tutti a godere di un film di fantasia che non aveva certo intenzione di offendere nessuno.

Bene. Ma non è che si sta un po’ esagerando? Il “politically correct” è da tempo il filo rosso che accomuna ogni discorso, prodotto mediale ed opinione: ed è chiaramente un bene, perché sottintende il rispetto verso ogni diversità e l’eliminazione, nella forma linguistica e nei contenuti, di ogni pregiudizio etnico, religioso, di genere, sessuale, verso handicap o disabilità. Ma, come in ogni cosa, se tutto si esaspera anche le migliori intenzioni si trasformano in errori o in comportamenti grotteschi: che “Le streghe” non sia un film discriminante nelle intenzioni (e anche nei fatti) è chiaro, come dovrebbe essere chiaro (e forse qui è il vero problema) anche agli spettatori consapevoli, che ormai condividono i diritti di tutti come un dato acquisito, non più opinabile, e di certo non minato da una Strega con due dita in meno.

E questo non per sottovalutare le discriminazioni e gli abusi che troppe minoranze ancora oggi sono costrette a subire, ma per chiarire che le nuove generazioni devono poter vedere un film con personaggi, in questo caso portatori di handicap, ma anche omossessuali, neri, transgender, obesi, musulmani o buddisti, senza che debbano ricordarsi che sono “diversi” e che vanno trattati “con i guanti”: questa è una premura che si dà a chi è ancora sentito e considerato un diverso, mentre evitare questa premura significa finalmente constatare che la diversità non c’è.

Patrizia Celot