AIRBNB: UN FRAME NARRATIVO

«Ogni eroe popolare, ogni religione, ogni ideologia ha bisogno di storie. Nell’epoca del capitalismo delle start-up e delle piattaforme anche le corporation hanno bisogno di storie convincenti».

Con questo incipit il saggio “Airbnb città merce” (di Sarah Gainsforth) ci trasporta nel mondo virtuale di Airbnb, la più grande piattaforma mondiale online di annunci e affitti di alloggi per brevi periodi, dimostrando come anche Airbnb non faccia eccezione e costruisca la propria mitologia immaginaria con un frame narrativo che capovolge la natura parassitaria, individualista e ambivalente della sharing economy. Infatti, Airbnb costruisce di se stessa una narrazione di emancipazione economica, di promozione del turismo, di valorizzazione delle città, di inclusione e di fiducia, di condivisione, di un sentimento di umanità in tutto il mondo: “travel like human”.Ma troppo spesso gli slogan non corrispondono alla realtà dei fatti: ed è per questo che si può parlare di uno storytelling mistificatorio e menzognero.

La favola che racconta Airbnb è la favola più antica di sempre, è quella dell’atavico mito americano (non a caso Airbnb nasce in California) e dell’ideologia del capitalismo contemporaneo, è la retorica del pioniere coraggioso alla conquista delle terre selvagge, delle nuove frontiere e delle sue infinite possibilità di arricchimento. Ora, però, il pioniere diventa il libero imprenditore di se stesso alla ricerca del sogno della micro-imprenditorialità nell’immenso spazio digitale. Ed è quindi dai tempi dei pionieri che libertà, cittadinanza e proprietà immobiliare avanzano di pari passo: essere americano significa (e significava) essere proprietario di una casa. Il sogno della casa è storicamente connesso all’ideologia del merito individuale: ecco di nuovo il coraggioso pioniere che addentrandosi nei territori selvaggi conquista il suo posto nella società.

Ma se nell’antica storia del mondo i popoli erano sempre in cerca di territori sconosciuti da conquistare e colonizzare, Airbnb si limita a individuare territori già urbanizzati, a insistere sui tessuti cittadini, cambiandone i disegni, rendendone gli spazi consumabili, contribuendo in primis al fenomeno di gentrificazione (termine che oggi definisce «la produzione dello spazio urbano per utenti progressivamente più ricchi») e promuovendo un turismo lontano dalla sostenibilità, che svuota e prosciuga le città trasformandole lentamente in “parchi a tema” e mero prodotto di mercato.

La sharing economy cela la selfish economy: il motto “airbnb is for everyone” è vero solo se per “everyone” si intende la classe ricca che mira a fare i propri interessi aumentando le diseguaglianze sociali.  Eppure, il primo slogan della nascente Airbnb è stato “crea qualcosa che le persone vogliono”. Ma la favola per cui Airbnb ha risposto ad una domanda già preesistente è fin da subito mitopoietica in quanto furono proprio i fondatori di quella che sarebbe diventato uno dei più grandi marketplace globali a creare la domanda, reclutando fisicamente porta a porta gli abitanti della California per convincerli a usare la propria piattaforma.

La strategia e le campagne di marketing hanno sempre cercato di far apparire Airbnb come un movimento nato dal basso, costruito su ideali di autenticità, libertà e connessione interpersonale che promuovono l’idea della soggettività e singolarità del proprietario in antitesi a un modello di business istituzionale e impersonale. Ma, al contrario, Airbnb altro non è che un potentissimo business che cela volutamente sotto mentite spoglie una spersonalizzazione dei rapporti umani e dell’esperienza casa-viaggio. E questo lo si vede già con l’elaborazione del sistema di pagamento e visita online che mira a eliminare qualsiasi forma di relazione interpersonale, ma anche con il lancio di Airbnb Plus, la sezione delle case di lusso, case progettate nei minimi particolari, costruite a tavolino, anonime, fredde, prive di personalità e umanità.

Con un gioco di parole si può suggerire che la comunicazione di Airbnb comunica l’incomunicabilità. Airbnb, infatti, dice di voler creare un mondo in cui poter “viaggiare sentendoti a casa tua”, ma ciò è davvero un paradosso: si viaggia per conoscere e capire il diverso, per scoprire nuovi mondi, nuove realtà, nuove culture, per mettersi in comunicazione con l’altro e non per sentirsi a casa propria… per questo c’è già la propria casa.

Patrizia Celot