Generalmente la locuzione “fundraising” viene tradotta nella lingua italiana con l’espressione “raccolta fondi”. Tuttavia quest’ultima risulta molto riduttiva per esprimere un concetto che è più simile a uno “sviluppo di risorse”.
Si può definire il fundraising come un insieme di azioni per creare relazioni di scambio di valori (non unicamente economici) tra chi cerca risorse economiche, materiali e umane, in coerenza con il proprio scopo e coloro che sono potenzialmente disponibili a donarle.
Per un’organizzazione non profit è importante definire alcuni punti cardine: “Dove vogliamo andare? E dove stiamo andando?”.
Infatti, affinché un’organizzazione non-profit abbia successo e svolga nel modo più fruttuoso la propria campagna di fundraising, è fondamentale che le persone che operano al suo interno definiscano e condividano in pieno la sua vision e la sua mission, ma non solo.
Noi non ci rendiamo conto di quanto in realtà la comunicazione agisca a livello inconscio.
Il successo di una campagna di fundraising è strettamente connesso alla donor experience, infatti se noi pensiamo al donatore come ad un consumatore possiamo dire che il successo di una campagna si basa sulla capacità di costruire buone relazioni con i clienti. La gestione delle emozioni può svolgere un ruolo importante in questo processo. L’emotional fundraising è un tipo di raccolta fondi che si basa sulla costruire di modelli che permettono di utilizzare una sorta di “algoritmo emozionale”, un’intelligenza artificiale che ci aiuta a mappare la sfera emotiva che è la sorgente delle reazioni del target.
L’attenzione che un’organizzazione presta all’intelligenza emotiva al giorno d’oggi influisce notevolmente sulle strategie di marketing poiché i nostri comportamenti sono al 70-95% emozionali, non logici.
La tecnologia ci aiuta così a mappare la sfera emotiva del potenziale donatore per comprenderne i comportamenti, partendo dalle teorie di Kahneman e Thaler sull’economia comportamentale (o psico-economia).
Gianandrea Abbate, Ceo di Emotional Marketing e promotore in Italia dello sviluppo di una nuova metodologia di ricerca, la Psicolinguistica, che studia l’incremento dei ritorni comunicazionali e i meccanismi inconsci dell’efficacia, ci racconta dell’emotional marketing: l’algoritmo emotivo per il mapping della mente.
Le mappe mentali del consumatore diventano così funzionali per entrare in quei bio-meccanismi inconsci che ci fanno agire d’impulso. Attraverso queste mappe si può fare un’analisi emozionale per capire se quello che stiamo comunicando è efficace ed effettuare una targetizzazione emozionale del nostro potenziale donatore.
Al giorno d’oggi, non esiste più l’italiano medio, bensì ne esistono 8, i quali hanno determinati comportamenti collegati a categorie emotive.
È importante questo tipo di analisi in quanto i dati sociodemografici non sono sufficienti, alcune di queste categorie emotive non doneranno mai, quindi il rapporto tra sforzo/risultato è negativo.
L’algoritmo emozionale va a prendere le prime key words collegate statisticamente al nostro brand (o alla nostra organizzazione), individuando i kpi emotivi del target in modo tale da attivare una reazione emozionale.
In questo modo, il sistema individua il codice emotivo migliore in relazione al target da noi scelto, rendendo molto più semplice la possibilità di creare engagement da parte del brand/organizzazione.
Sara Zawam