ACHILLE LAURO: STRAVAGANZA O SEMPLICE LIBERTÀ?

Siamo in molti a dire di conoscere Achille Lauro e la sua stravaganza che lo ha sempre contraddistinto nel panorama artistico italiano – stravaganza che ha fatto da padrona nell’ultima edizione del rinomato Festival della Canzone Italiana lo scorso febbraio. Ma al di là dei lustrini e dei costumi da scena, chi è veramente Lauro?

Il suo vero nome è Lauro De Marinis, nasce a Verona l’11 luglio del 1990 e come ogni carriera che si rispetti, anche la sua inizia per pura casualità. Dovuto ad un viaggio di lavoro, i genitori lasciano l’adolescente Lauro a trascorrere qualche giorno col fratello maggiore Federico, il quale, addentratosi già nel mondo della musica, diventa per il cantante un vero e proprio maestro da ascoltare.

Reginetta del Punk, Re del Rock, Stella del Pop, così recita la sua biografia di Instagram, perché è così che Lauro si definisce: un ibrido di generi. Più volte nelle sue interviste, il cantante ha affermato che non ama classificare la sua musica e così scrive sotto ad una sua foto relativa a una delle serate sanremesi: «Ho sempre cercato di contaminare un genere con l’altro cercando di inventare musica non catalogabile ed impossibile da etichettare»

Ma cosa ha di così tanto speciale questo ragazzo tanto da aver fatto parlare i media italiani delle sue performance per settimane?

Le sue esibizioni non potevano di certo passare inosservate visti i versi del brano e i costumi portati in scena. Da San Francesco a Ziggy Stardust (alter ego dell’immenso David Bowie), passando per la Marchesa Luisa Casati Stampa (musa ispiratrice dei più grandi artisti della sua epoca) e arrivando alla splendida figura di Elisabetta Tudor I – Lauro ha così demolito la sacralità di un palco che ha sempre voluto mettere in luce la classicità italiana.

E cosa hanno in comune questi quattro personaggi all’apparenza tanto distanti tra di loro? A prima vista, appunto, sembrerebbe nulla, ma come spiega il cantante sotto ad un suo post di Instagram, ognuno di loro se ne è fregato di qualcosa nella propria vita: «un Santo che se ne è fregato della ricchezza e ha scelto la “libera” povertà, un cantante che se n’è fregato dei generi e delle classificazioni sessiste, una Marchesa che a dispetto del suo benessere ha scelto di vivere lei stessa come un’opera d’arte, diventando una mecenate fino a morire in povertà, e, infine, una Regina che ha scelto la morte, evitando di curarsi, abdicando, pur di restare lì a proteggere e vivere per il suo popolo. La condizione essenziale per essere umani è essere liberi».

Queste quattro personalità rispecchiano quindi alla perfezione il significato del brano che ha tenuto incollati milioni di spettatori durante il Festival di Sanremo: Me ne frego. La canzone – dice Lauro – «è un inno alla libertà di essere ciò che ci si sente di essere»; la sua speranza è quella che la canzone riesca a risvegliare le anime degli insicuri e di coloro che credono di essere sempre nel giusto con le proprie certezze – «perché è sempre fuori dalla propria “zona di comfort” che accadono i miracoli».

Me ne frego, da una parte, è sicuramente un brano travolgente e fresco che ti entra in testa e che non lasci andare facilmente, ma dall’altra, esso è anche un invito all’amor proprio, a essere davvero se stessi e alla libertà individuale. Che piaccia o meno, insomma, una cosa è certa, Achille Lauro su quel palco – che da anni rappresenta ormai una sorta di “istituzione italiana” a tutti gli effetti – ha annientato ogni forma di bigottismo, si è spogliato di ogni convenzione e – cosa ancor più importante – è stato sé stesso facendo cantare con lui milioni di spettatori.

Giada Catania