IL DRAMMA NASCOSTO DEL NUCLEARE A TEATRO: ZVIZDAL (CHERNOBYL – SO FAR, SO CLOSE)

Il nome di Chernobyl è tristemente noto: il gravissimo incidente nucleare avvenuto in Ucraina il 26 aprile 1986 è ormai storia. Quella che ha preso vita a teatro è invece la cronaca di chi, in silenzio, non ha voluto lasciare la propria terra persino di fronte alla minaccia delle contaminazioni.

Pétro e Nadia avevano sessant’anni quando lo scoperchiamento del reattore della centrale nucleare V.I Lenin causò l’emergere di una nube di materiale radioattivo che contaminò pesantemente vaste aree attorno alla centrale, rendendone necessaria l’evacuazione: venne così istituita la “zona di esclusione”, che si estendeva per un raggio di 30 km. Pétro e Nadia hanno visto parenti e amici abbandonare le proprie case a Zvizdal con l’idea di non fare più ritorno, rimanendo gli unici abitanti di un villaggio divenuto fantasma.

La loro storia è stata proposta nel teatro La Cucina dalla compagnia belga BERLIN, in uno spettacolo che si rivela un’ibridazione tra un documentario e un’installazione teatrale, grazie agli interessanti supporti multimediali, essenziali per mostrare l’alternanza delle stagioni in una realtà lontanissima dalla civiltà. Le immagini proiettate sul maxischermo non si soffermano direttamente sull’incidente nucleare come ci si aspetterebbe, ma fotografano piuttosto le conseguenze che esso ha avuto sulla vita di due persone che sono poi state dimenticate dal mondo. 

Un ristretto gruppo al seguito della giornalista Cathy Blisson percorre strade dissestate e in rovina per raggiungere Pétro e Nadia un paio di volte all’anno e portare loro provviste. La vita dei due, ormai ultraottantenni, prosegue tra mille difficoltà in un paesaggio che ha perso ogni traccia di civilizzazione e progresso: a Zvizdal non esistono più elettricità, acqua corrente o scorte di cibo, e la loro sopravvivenza dipende interamente dalla loro minuscola fattoria, che comprende una mucca scheletrica e un vecchio cavallo. 

A 25 anni dal disastro, di case e palazzi non rimangono che scheletri di edifici e macerie invase da una natura che appare verde e rigogliosa, invece che rinsecchita e inquinata – ma le scelte musicali dietro queste riprese ricordano, con sottile acume, che la contaminazione è sempre e comunque presente. Eppure, l’idea di andarsene non è neppure presa in considerazione: “Altrove l’erba non è più verde che qui. È lo stesso ovunque”, spiega Nadia, nella vana speranza che il villaggio si ripopoli. L’effetto di straniamento per lo spettatore è dunque molto forte: è difficile immaginare oggi un legame così ancestrale con la propria terra, e ancora più difficile è immedesimarsi e comprendere le ragioni dietro tale decisione.

I temi chiave con cui ci si confronta in Zvizdal (Chernobyl – So Far, So Close), sono la solitudine, l’esistenza di una comunità sacrificata sull’altare dell’avanzamento tecnologico e un aspetto del disastro di Chernobyl molto spesso trascurato. Tuttavia, paradossalmente, si esperisce anche una storia di resistenza dell’uomo: Pétro e Nadia rifiutano di andarsene persino mentre scende l’inverno sulle loro vite e attendono la fine, accettando il rischio delle radiazioni e riproponendo il sapere di un rapporto con la natura prettamente arcaico, che fa intravedere un’alternativa al futuro.

Paola Galbusera