LachesiLab, una piccola sala adibita a teatro nella periferia milanese, ha ospitato dal 5 all’8 novembre lo spettacolo di Filippo Michelangelo Ceredi Between Me and P. La performance si colloca all’interno del Danae Festival , la celebre rassegna milanese di arti performative, teatro e musica curata dal Teatro delle Moire, giunta quest’anno alla sua diciottesima edizione, che è stata presentata agli studenti di CIMO all’interno del corso tenuto dalla professoressa Carpani.
Tra tutti gli appuntamenti di vario genere all’interno della proposta del festival, ho trovato particolarmente interessante l’idea di questo giovane artista milanese , che si propone di realizzare realizzando una esibizione molto particolare, che comprende contemporaneamente danza, musica, immagini e monologhi.
Tutto è cominciato con il buio: si tratta proprio dell’elemento migliore per rappresentare l’incertezza e i dubbi che da sempre contraddistinguono la misteriosa scomparsa di Pietro. Probabilmente vi starete chiedendo di che cosa sto parlando…
La performance racconta l’esigenza che, qualche anno fa, l’artista ha sentito di ripercorrere le tracce della misteriosa scomparsa del fratello Pietro, avvenuta nel 1987 senza lasciare alcuna traccia, quando lui aveva solo cinque anni. La narrazione è incentrata sul tentativo di capirne le motivazioni e il disagio che lo spinsero a un gesto tanto radicale quanto coraggioso.
Dopo il buio iniziale, all’improvviso una luce illumina una scena piuttosto “povera”, semplicemente un tavolo con un computer e una lampada, attraverso cui lo spettatore sarà proiettato in un mondo parallelo: il mondo di Pietro di quasi trent’anni prima. La particolarità sta nel fatto che la vicenda non viene raccontata in maniera lineare: non esiste cioè una vera e propria trama in cui lo spettatore si può facilmente orientare e nella quale può trovare una spiegazione razionale.
Durante lo spettacolo vengono proposti filmati video e tracce audio, raccolti in vari anni di ricerca, contenenti interviste e testimonianze di persone vicine a Pietro, che hanno aiutato Filippo a ricostruire la sua storia, con la scopo di creare empatia e immedesimazione nel pubblico e far comprendere le ragioni della scelta, dettata da una diversità esistenziale impossibile da sopportare, intorno alla quale si sviluppa l’intero spettacolo. Tutto ciò viene accompagnato da un abile utilizzo della musica, che accompagna le varie fasi della performance a seconda dei momenti, e da esibizioni di danza da parte del protagonista.
Al termine dello spettacolo uno dei momenti più coinvolgenti: il pubblico ha la possibilità di entrare nello spazio della recitazione ed esaminare da vicino gli oggetti appartenuti a Pietro, che si sono rivelati fondamentali nella difficile ricostruzione della sua vicenda, e che permettono a noi di toccare con mano ciò di cui abbiamo fatto esperienza durante l’esibizione. Tuttavia l’aspetto interessante è la mancanza di certezze, nella quale l’artista lascia volontariamente ad ogni spettatore il compito di farsi una propria idea e darsi una propria spiegazione sulle motivazioni che spinsero un ragazzo di 22 anni ad abbandonare la propria vita per sparire nel nulla. Non si tratta assolutamente di uno spettacolo rassicurante, ma piuttosto una ricerca che scava nelle profondità della natura umana e che lascia lo spettatore con più dubbi di quanti non ne avesse entrando in sala.
“Sarà ancora vivo? Quali saranno le cause del suo disagio esistenziale? Cosa può averlo spinto a una scelta talmente radicale?”. Sono queste le domande – e lo dico per esperienza diretta – che lo spettatore, un po’ frastornato, pone all’uscita a se stesso e ai proprio accompagnatori.
E chissà che non fosse proprio questo lo scopo della performance…
CIMO reporter – Roberto Lacchini