Negli ultimi cinque anni, la musica ha assunto un ruolo che va ben oltre la funzione decorativa o di accompagnamento nella comunicazione di marca. Oggi, in molti casi, la musica è il primo punto di contatto tra brand e consumatore, il vero driver di scoperta del contenuto, e spesso l’elemento che determina il successo o il fallimento di una campagna.
Piattaforme come TikTok hanno completamente ribaltato il paradigma: non è più il contenuto a scegliere la musica, ma la musica a generare il contenuto. Il TikTok Creative Center mostra come i trend musicali precedano i trend visuali e come i video che utilizzano suoni già riconoscibili abbiano tassi di completamento e condivisione significativamente più alti.
Secondo l’IFPI Global Music Report 2024, il 73% degli utenti Gen Z scopre nuovi brand attraverso video musicali brevi. Questo dato segna un punto di rottura con il passato: la musica non rafforza il brand recall, lo genera.
Nel contesto italiano, il legame tra musica, identità e consumo è ancora più forte. La musica italiana, dal rap all’indie, funziona come marcatore culturale. Brand come Nike Italia, Diesel, Gucci o Armani hanno integrato negli ultimi anni estetiche musicali specifiche per parlare a community precise, spesso collaborando direttamente con artisti come Sfera Ebbasta, Marracash, Madame o Blanco.
Queste collaborazioni non funzionano come testimonial tradizionali. Non comunicano “affinità”, ma appartenenza. Come sostiene Douglas Holt nel suo concetto di cultural branding, i brand più forti sono quelli che riescono a inserirsi nelle tensioni culturali vive di un’epoca, e oggi la musica è uno dei principali vettori di queste tensioni.
C’è poi una dimensione cognitiva. Studi di neuromarketing dimostrano che il suono viene processato più velocemente dell’immagine e attiva in modo più profondo le aree legate alla memoria emozionale (Lindstrom, 2005). Questo spiega perché il sonic branding stia diventando una disciplina autonoma: non più jingle, ma scelte sonore coerenti, ripetute, riconoscibili.
Un esempio significativo è Netflix, che ha trasformato un semplice suono di accensione (“ta-dum”) in un segno identitario globale. Non comunica un contenuto specifico, ma un’esperienza. Lo stesso avviene su scala diversa nei brand che curano sistematicamente il sound dei propri contenuti social. Oggi un brand può essere dimenticato visivamente, ma ricordato sonoramente.
E nel marketing contemporaneo, ciò che viene ricordato è ciò che esiste.
Attilio Basile
