Nato come principio di inclusività e rispetto, il politically correct ha subito negli anni una trasformazione significativa, divenendo un tema polarizzante che divide l’opinione pubblica. Nel 2025 il dibattito è più acceso che mai: il politically correct rappresenta un progresso culturale o è diventato una forma di censura?
L’origine del politically correct
Come riportato dall’enciclopedia Treccani:
«Il politically correct designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale, cioè, si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone.»
L’idea di politically correct è nata negli Stati Uniti negli anni ’30, in ambienti di sinistra che iniziarono a denunciare l’uso di espressioni, quali “nigger” e “black”, in quanto offensive.
Il concetto venne poi amplificato durante gli anni ’60, epoca attraversata da forti movimenti di contestazione socioculturale, divenendo «una corrente d’opinione basata sul riconoscimento dei diritti delle culture e mirante a sradicare dalle consuetudini linguistiche usi ritenuti offensivi nei confronti di qualsiasi minoranza», sempre secondo l’enciclopedia Treccani.
Nonostante gli ideali egualitari che lo hanno ispirato, il politically correct viene oggi accusato di “tirannia ideologica”, affermando che limiti la libertà d’espressione e che si accontenti di intervenire sulla forma piuttosto che sui contenuti. Per contro, i sostenitori di questa pratica ribadiscono la necessità di utilizzarla come punto di partenza comune per una discussione civile.
La società del politicamente corretto
Oggi, il politically correct è uno strumento potente, un insieme di regole etiche di comunicazione e di comportamento: non riguarda più solo il linguaggio, ma si estende a contenuti audiovisivi, strategie di marketing, regolamentazioni aziendali e persino agli algoritmi delle intelligenze artificiali.
Le piattaforme social, ad esempio, hanno intensificato le politiche di moderazione dei contenuti, aumentando controlli su discorsi d’odio e fake news, nel tentativo di creare un luogo di discussione paritario e moderato.
Anche nel mondo professionale e accademico il politicamente corretto ha ridefinito le dinamiche interne: le aziende implementano policy sempre più rigide su linguaggio e comportamenti accettabili e, contemporaneamente, le università adottano linee guida per garantire un ambiente “safe” per tutti gli studenti.
Se ti interessa questa particolare tematica, ti consigliamo la lettura dei seguenti articoli sul nostro blog:
- “IL CONTRASTO AI DISCORSI D’ODIO: L’IMPEGNO E LE SFIDE DELLA RETE NAZIONALE“
- “CYBERBULLISMO E BODY SHAMING: LE CICATRICI INVISIBILI DEL WEB- IL CASO CALVIN KLEIN“
- “FAKE IT TILL YOU BELIEVE IT, L’INFLUENZA DELLA DISINFORMAZIONE NELLA COSTRUZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA“
Il lato oscuro di questa pratica: la cancel culture
D’altro canto, come conseguenza di un’applicazione eccessivamente rigorosa di questa pratica, si origina la cosiddetta “cancel culture”, che vede ogni giorno personalità pubbliche, marchi e opere artistiche sottoposti a un attento studio da parte del pubblico.
Ne deriva che la linea tra protezione delle minoranze e limitazione della libertà di espressione è sempre più sottile, alimentando un clima di autocensura in diversi ambiti, come nel giornalismo, nell’intrattenimento, nella pubblicità e nel mondo accademico.
Se da un lato ciò ha portato a una maggiore inclusività, consapevolezza e rispetto di certe tematiche, dall’altro ha sollevato interrogativi sulla possibilità di esprimere opinioni critiche senza il timore di ripercussioni.
Come sfruttare saggiamente il potere delle parole?
Il politically correct è uno strumento e in quanto tale non è mai buono o cattivo, è l’uso che se ne fa che ne determina la tendenza.
E la critica mossa a coloro che si attengono fedelmente all’idea del politically correct, che li accusa di essere persone che “parlano ma poi non agiscono”, è essa stessa ipocrita.
Infatti, seppur le parole paiono meno importanti delle azioni, in verità lo sono altrettanto: sono un’arma da usare con assoluta attenzione e, in quanto strumenti, sono di per sé neutrali e possono dunque essere usate sia per sostenere e spalleggiare, che per ferire o manipolare. Per questo devono essere sempre ponderate.
Nel 2025 la sfida principale è dunque trovare un punto di equilibrio tra rispetto e libertà di espressione.
Non si tratta di censura, ma di autoregolamentazione: urge prestare più attenzione alle parole, curare il più possibile ciò che si dice e come lo si dice, senza sentirsi minacciati da un vincolo in realtà inesistente.
Il politically correct è destinato a rimanere una componente centrale della comunicazione sociale e istituzionale, ma la sua evoluzione dipenderà dalla capacità collettiva di adeguarlo, di modo che non diventi un vincolo soffocante, bensì un mezzo per una convivenza più armoniosa e rispettosa, un insieme di norme comportamentali più consapevoli e meno punitive che favoriscano il dialogo senza reprimere il dissenso.
Ora sta a noi: siamo pronti ad impegnarci per il raggiungimento di una società più giusta?
Alice Albertini
