«Il concetto del cambiamento climatico è stato creato da e per i cinesi al fine di rendere il settore manifatturiero statunitense non competitivo». Questa affermazione, pubblicata dall’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump su X nel lontano 2012, vi sembrerà complottista e completamente surreale. Eppure, ha fatto parte di una campagna di disinformazione su vasta scala che ha contribuito alla vittoria delle elezioni presidenziali da parte dell’imprenditore statunitense solo quattro anni più tardi.
Ma come ha potuto una notizia falsa ottenere così tanto successo?
Il lato oscuro della (dis)informazione e le sue origini
Secondo la definizione del vocabolario Treccani, per disinformazione intendiamo la «diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno». Le fake news, dunque, risultano dei veri e propri strumenti sociali in grado di influenzare profondamente l’opinione pubblica, con conseguenze anche molto negative sulla vita degli individui.
Nell’era della post-verità, la disinformazione può avere diverse origini.
I rumors, ad esempio, rappresentano una delle principali vie attraverso cui si diffondono le fake news. Questo genere di notizie sono diffuse in maniera prevalentemente involontaria tra soggetti non competenti, guidati dalle proprie sincere preoccupazioni o presunzioni. In altri casi, la diffusione avviene per precisi scopi politici, ne sono un esempio le campagne di disinformazione portate avanti dallo stesso presidente Trump.
Infine, un ruolo determinante è giocato dai social media. In particolar modo, l’effetto della camera di risonanza dimostra che i social siano in grado di generare forti polarizzazioni del pensiero attraverso tre principali meccanismi psicologici. Primo tra tutti è il bias di conferma, per il quale tendiamo a ricercare solo ciò che risulta in linea con la nostra opinione. Il secondo è l’esposizione selettiva, attraverso cui scegliamo di percepire solo ciò che conferma le nostre idee. Infine, vi è l’omofilia, ossia la tendenza ad aggregarsi in gruppi fortemente omogenei in termini di credenze ed idee.
Tutto questo contribuisce ad una marcata polarizzazione del pensiero che incentiva la diffusione di notizie inaccurate, ritenute credibili sulla base della loro popolarità piuttosto che della loro validità, in accordo con l’effetto del falso consenso.
Come la comunicazione può combattere la disinformazione
I meccanismi sopra descritti rendono evidente l’estrema sensibilità alla disinformazione. Per contrastarla, è sicuramente buona pratica attuare del fact-checking, ossia «la verifica puntigliosa dei fatti e delle fonti». È bene, infatti, analizzare attentamente le fonti su cui si fa affidamento, citandole chiaramente nel testo e dando la possibilità di risalire ai documenti ufficiali. In questo modo si garantisce anche la tracciabilità e la trasparenza del contenuto, garantita anche dalla aperta dichiarazione di eventuali conflitti di interesse.
Educazione mediatica ed uso etico degli algoritmi
Gli algoritmi che regolano le piattaforme, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, amplificano le informazioni, incentivandone la polarizzazione e la distorsione.
Altra pratica per debellare la propagazione di fake news, risiede nella responsabilità deontologica dei professionisti della comunicazione, che hanno l’obbligo di aderire a principi etici fondamentali atti a garantire l’attendibilità dell’informazione.
Evitare titoli sensazionalistici o fuorvianti, esporre sempre chiaramente la cornice contestuale che attornia un fatto e accompagnarlo con dati e osservazioni empiriche attiene al diritto all’informazione senza manipolazioni.
Game over per le fake news?
Giunti alle conclusioni di questo articolo, vi sarà chiara l’importanza della battaglia contro la disinformazione, che deve avvenire in entrambe le direzioni.
Se da parte loro i giornalisti e i professionisti della comunicazione in generale dovrebbero operare uno sforzo attivo nel garantire sempre la massima trasparenza e autenticità, anche noi, nel nostro piccolo, dovremmo impegnarci nel ricercare e riconoscere le fonti attendibili, mantenendo sempre attivo il nostro senso critico e imparare a riconoscere e combattere la disinformazione.
E tu, sai riconoscere una fake news?
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Silvia Mottadelli

Un pensiero su “FAKE IT TILL YOU BELIEVE IT, L’INFLUENZA DELLA DISINFORMAZIONE NELLA COSTRUZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA”
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