Il COVID-19 è stato uno spartiacque per molti aspetti della nostra vita, ma a venire colpito e condizionato è stato soprattutto il contesto professionale. Sin dai primi momenti della pandemia, si è reso necessario trovare un nuovo modo per mantenere i livelli di produttività e per continuare a svolgere il proprio impiego, nonostante le restrizioni e i rischi per la salute.
Lo smart working è entrato a gamba tesa nelle vite dei lavoratori, rappresentando una soluzione efficace al distanziamento sociale imposto o, in certi casi, solo suggerito dai decreti legislativi. A distanza di quattro anni, esso è ancora “in voga”, come uno degli strumenti migliori per garantire la flessibilità. Nel bene o nel male, le professioni ne risultano condizionate, con un forte impatto anche sulla vita privata dei dipendenti.
Le opinioni sullo smart working sono discordanti, salvo per un punto focale: il lavoro agile permette una migliore gestione del tempo e dà la possibilità di combinare le esigenze professionali con quelle familiari. Si può conciliare la sfera del privato con quella lavorativa con molta più facilità, riuscendo anche a riservare uno spazio maggiore ai propri momenti personali. D’altronde, i tempi per gli spostamenti si riducono, fattore importante soprattutto nelle grandi città. Il benessere di ciascuno ne beneficia, poiché diminuiscono le probabilità di andare incontro a circostanze particolarmente stressanti o, addirittura, al burnout.
Eppure, non si può ignorare il principale aspetto negativo dell’introduzione della modalità da remoto nei contesti professionali: l’isolamento, che è la logica conseguenza del lavoro svolto a casa. Ci si abitua a stare da soli in silenzio e si entra in una bolla da cui diventa complicato uscire, anche quando si terminano le proprie attività e si deve tornare alla socialità.
I rapporti umani rischiano di uscirne impattati, ma questo non vale per tutti. A volte, al contrario, relazioni, non solo lavorative, ma anche personali, possono nascere proprio grazie alla facilitazione delle connessioni, resa possibile dagli strumenti digitali e da tecnologie più o meno nuove. L’introduzione di modalità di comunicazione alternative – come call e riunioni a distanza, spesso tutt’ora favorite rispetto a quelle in presenza – ha agevolato l’incontro virtuale tra colleghi attivi in sedi diverse di una stessa azienda, oltre a una migliore collaborazione fondamentale per incrementare la produttività.
Nell’ottica del “tutto digitale”, un lavoro non più “smart” è impossibile da immaginare. La sfida delle aziende e, più in generale, dei contesti professionali, è quella di integrare lavoro fisico e virtuale, tenendo a mente l’unico obiettivo: quello di tutelare il benessere dei lavoratori e di raggiungere i risultati sperati.
Chiara Trio
