APP MENTALITY: GIOVANI CHE VIVONO COME NAVIGANO SUL WEB

Quante volte ci hanno detto che la tecnologia fa male? Quante volte siamo stati messi in guardia sui pericoli annessi al suo eccessivo utilizzo? E quante volte ai giovani della Gen Z è stato rimproverato un uso sbagliato, prolungato e presumibilmente nocivo e pericoloso dei nuovi media e strumenti tecnologici?

L’espressione App Mentality è stata coniata dagli studiosi Katie Davis e Howard Gardner, rispettivamente docenti all’Università di Washington e Harvard, all’interno del testo The App Generation: How Today’s Youth Navigate Identity, Intimacy, and Imagination in a Digital World (Yale Univ Pr, 2014), per indicare quella tendenza dei giovani a navigare nelle loro vite, metaforicamente, secondo gli stessi principi e logiche con cui navigano nelle applicazioni. Secondo tale teoria, i nativi digitali tenderebbero sempre più ad evitare l’incertezza, a ricercare risposte immediate alle loro domande e a muoversi nella vita di tutti i giorni applicando regole e presupposti che caratterizzano la loro attività in rete.

Davis e Gardner, che definiscono la Gen Z «App Generation», mettono in luce alcune delle caratteristiche (in termini soprattutto di identità, intimità e immaginazione) dei cosiddetti nativi digitali, sottolineando come la frequente app-dipendenza (o app-attività) generi nei giovani nuovi modi di pensare, di essere e di relazionarsi con gli altri fortemente influenzati dall’utilizzo delle nuove tecnologie.

Come accade nella maggior parte dei casi, gli strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione digitale offrono svantaggi e opportunità: se da una parte possono ostacolare lo sviluppo dell’identità personale, favorire l’instaurazione di relazioni superficiali e contrastare il potenziamento delle risorse dell’immaginazione, d’altra parte promuovono spesso un forte senso di identità, consentono la creazione e il mantenimento di relazioni profonde e sovente stimolano la creatività dei soggetti.

I giovani della Generazione Z e ancor di più gli appartenenti alla Generazione Alpha (nati dal 2013 in poi), sembrano essere sempre meno in grado di uscire dagli schemi, adottare un approccio creativo al problem solving e accettare l’incertezza in tanti e diversi contesti. In genere abituati ad avere una risposta istantanea alle proprie domande (e una soluzione immediatamente identificabile ai propri problemi), accettano sempre meno indeterminatezza, dubbio e indecisione.

I nativi digitali, riprendendo la tesi di Davis e Gardner, non solo vivono immersi in un mondo fatto di app, social media e tecnologie all’avanguardia, ma sono spesso e persino «giunti a vedere il mondo come un insieme di app e le loro stesse vite come una serie ordinata di app – o forse, in molti casi, come un’unica app che funziona dalla culla alla tomba».

Se da una parte il pensiero dei due studiosi pare estremizzare l’impatto delle nuove tecnologie sulle vite e sul mindset delle nuove generazioni (coloro che, appunto, sono nati all’interno di un contesto in cui la rivoluzione digitale aveva già lasciato forti le sue impronte), dall’altra esplicitano un punto di vista interessante che, al di là di pericoli e vantaggi annessi all’attuale mondo interconnesso, porta a concentrare la propria attenzione sul potere che il modo di ragionare (metaforico) di applicazioni, algoritmi e computer può avere nel modellare la mente delle persone e nell’impiantare nelle stesse nuovi e inediti schemi cognitivi e modi di pensare.

In fondo, come diceva Aristotele oltre duemila anni fa a proposito dell’arte della retorica, tutti gli strumenti a disposizione dell’uomo appaiono per loro natura neutrali: non c’è né male né bene, nulla è bianco o nero, ma tutto dipende dall’utilizzo che, di quello strumento, se ne fa. Innanzitutto comprendere quali sono concretamente gli effetti della pervasiva presenza della tecnologia nel nostro mondo 2.0, magari supportando le ipotesi con ricerche scientifiche e dati alla mano, può e deve rappresentare la base per capire come favorire l’integrazione tra umano e digitale in una prospettiva positiva di crescita, miglioramento e limitazione dei danni.

Per un mondo più phygital e più consapevole, in cui il benessere delle persone sia prerogativa di base e in cui lo stare bene e l’essenza dell’umano non vengano sacrificati in cambio di un progressismo, che rischia di diventare non solo sterile ma addirittura pericoloso.

Marta Bocchi